Abbiamo dovuto aspettare sei anni (da Bussola ) e diversi lavoretti e lavoricchi (poesie, viaggi, diversivi, etc. tutti interessanti ma collaterali) per avere di nuovo tra le mani un Enard come dio comanda. Cioè un grande romanzo francese insieme tradizionale (Balzachiano? Hugoide?) e perfettamente contemporaneo, capace di scavare nel ventre molle di una Francia insieme ancestrale e avanguardista nell'esercitarsi con la catastrofe. In tempi di romanzo da tinello (no, meglio: redazioni, scrivanie da smart working, open space, oppure ville e appartamenti romani vista Colosseo etc), finalmente (e, udite udite, in Europa!) una prosa di spazi, capace di abbracciare la campagna senza folklore, né mitologie del regresso; di dare conto del minuscolo e dell'orizzonte. Il tutto con uno sgorgo di vena mitopoietica mica da ridere. (...) La prosa di Enard ha in sé una forte pulsione poetica che l'autore sa titillare ma anche irregimentare, evitando derive sopra le righe e lasciando che il romanzo faccia, per una volta, il mestiere del romanzo. Chi legge, festeggia e gode.
