(...) Nel Banchetto si parla della Morte, ci sono tante morti più o meno violente, c’è la reincarnazione con la Ruota del Tempo. Mi è sembrata significativa questa definizione: “i becchini, i quali, di tutto il genere umano, erano i più legati alla vita, vivendo loro nella morte”.
Il fatto è che è impossibile parlare della Morte, i soli che possono farlo sono forse i becchini perché la vedono così da vicino, ma in realtà non possono parlarne neanche loro perché sono vivi. È il più vecchio mestiere del mondo, le notizie più antiche che abbiamo dell’uomo sono proprio legate alla morte, quindi sappiamo per esempio chi si occupava delle sepolture nel Neolitico, eppure non possiamo dire nulla della sulla realtà di questo mestiere perché non sappiamo nulla della Morte. È questo che mi ha affascinato. Infatti ho avuto l’idea di questo libro durante un viaggio a Praga. Ero lì perché sono un grande fan di Kafka. Ho voluto vedere le sinagoghe e davanti alla via principale del ghetto ho notato questa casetta che è la sede della Confraternita dei becchini, e all’interno si vedono dipinti dell’epoca, del diciottesimo secolo, che mostrano il banchetto. E affianco la didascalia spiegava: “per consolarsi del loro triste mestiere, i becchini si concedono ogni anno un grande banchetto”.
Quindi è vero.
È vero. O meglio era vero nella tradizione ebraica dell’Europa dell’Est e dell’Europa centrale.
Quando l’ho visto ho pensato che fosse geniale e che dovesse stare al centro del mio romanzo, ma con una piccola differenza: ossia, che la Morte dovesse fare una pausa. (...)