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Il banchetto annuale della Confraternita dei becchini di Mathias Énard

Autore: Carlo Mazza Galanti
Testata: Il Tascabile
Data: 28 ottobre 2021
URL: https://www.iltascabile.com/recensioni/confraternita-becchini/

David Mazon, dottorando in antropologia, ha scelto come argomento della propria tesi un paese nell’ovest della Francia, più precisamente nel dipartimento delle Deux Sèvres, dove si trasferisce per svolgere il cosiddetto “lavoro sul campo”. Cosa vada cercando in mezzo a quelle campagne, oltre a una generica etnografia della contemporaneità rurale francese, non è ben chiaro neppure a lui. Alloggia in una casa che battezza “Pensiero selvaggio”, inizia a conoscere la gente del posto, prende appunti, intervista, adotta due gatti che chiama Nigel e Barley, dal nome dell’antropologo inglese che ha pubblicato negli anni Ottanta un geniale saggio sul suo lavoro di dottorato (“Il giovane antropologo, appunti da una capanna di fango”) che è allo stesso tempo, probabilmente, il libro più comico che sia mai stato prodotto dalla letteratura antropologica. Anche nel diario di Mazon, che apre e chiude il nuovo romanzo di Mathias Énard, l’umorismo viene usato come strumento descrittivo di uno shock culturale: situazioni imbarazzanti, il disorientamento del nuovo arrivato e i suoi goffi tentativi di “osservazione partecipata”, i personaggi bizzarri che incontra nelle sue peripezie “ruraliste”.

Oltre questo primo livello, leggero e svagato, il libro si approfondisce in una forma più ibrida e seria a metà tra gli stilemi della letteratura di viaggio, con derive storiche e “psicogeografiche”, la saga familiare, il romanzo grottesco di matrice rabelasiana. Cambia il focus: la narrazione in prima persona del diario etnografico di Mazon lascia il posto al racconto in terza persona di una serie di vicende che vedono protagonisti gli abitanti della zona frequentata dall’antropologo, i quali a loro volta permettono al narratore di aprire finestre sul passato, prossimo e remoto, di quella parte della Francia che tra parentesi è anche quella che ha dato i natali a Énard. La macchina del tempo funziona a pieno regime favorita dall’espediente narrativo della “ruota karmica”, la trasmigrazione delle anime secondo la dottrina buddista, per cui ognuno dei personaggi chiamati in causa dal racconto può diventare pretesto per entrare, in medias res, nelle avventure di qualche sua precedente reincarnazione, la quale a sua volta può determinare un altro salto in avanti o indietro all’interno del ciclo, con possibilità di inscatolamento pressoché illimitate la cui unica contrainte – e principale collante narrativo del romanzo – è appunto quella geografica (difficile non pensare alla più bella e radicale realizzazione di questo schema narrativo, in altro ambito, ovvero Here di Richard McGuire).

Il libro propone dunque una lunga serie di “carotaggi” che consentono di incapsulare storie dentro storie: ogni individuo scivola dentro altri individui che fu e, in qualche raro caso, sarà in un non troppo lontano avvenire apocalittico. L’espansione dei franchi, la seconda guerra mondiale, le guerre di religione o l’impero napoleonico sembrano esistere tutti quasi sincronicamente, a distanza di un battito di ciglia, quello che passa, appunto, tra una morte e una reincarnazione. (...)