La libertà di Elena
Il primo doppio nella storia letteraria occidentale è l’Elena di Euripide. In questa singolare opera teatrale Elena non è stata mai a Troia, dove invece si trovava, costruito da Era con una nuvola, un suo doppio, «un fantasma dotato di respiro, fatto con un pezzo di cielo»[1]. La vera Elena era stata condotta invece in Egitto, presso il re Teoclimeno. Fra i molti aspetti originali dell’Elena euripidea spicca il trattamento del doppio, che, anziché essere una trappola identitaria, è liberazione simbolica da un’identità imposta – segnata dalla colpa dell’adulterio e dalla responsabilità della sanguinosa guerra – e preludio di una liberazione effettiva, in fuga dalla tirannia e dalle pretese dell’odioso Teoclimeno. Il topos dello smarrimento di fronte alla duplicazione identitaria è, sì, presente, ma pesa tutto su Menelao. Per Elena è relativamente facile: «il nome può stare ovunque, il corpo no»[2], afferma. Questa è la chiave simbolica della libertà di Elena: l’avere un doppio (che al momento giusto svanisce) non la turba minimamente, quando invece a Menelao appare una contraddizione e un’impossibilità sostanziale. Per Menelao, così come sarà per Sosia nell’Anfitrione di Plauto, il doppio è perturbante; per Elena è solo un gioco degli dei.
Il gioco del doppio appartiene a Elena Ferrante non meno che all’Elena di Euripide. Quando parla di sé – in particolare nella Frantumaglia[3] – Ferrante costruisce la propria biografia prendendola a prestito da quelle dei suoi personaggi: accreditando tacitamente l’opposto, cioè l’aver dotato i personaggi di elementi autobiografici. Non conoscere la direzione del riflesso crea due specchi contrapposti.
Il doppio forma, così, una fuga, una prospettiva ad infinitum. La forma fugata ha le sue ragioni in quelle stesse dell’Elena di Euripide – la possibilità che offre il gioco letterario al corpo dell’autore di essere altrove rispetto al nome: offre la libertà. Individuare una biografia reale dietro il fantasma, del resto, non ne modifica la natura di doppio né può abolirla. Per questa ragione, il sapere o il ritenere di sapere chi sia ad aver creato Elena Ferrante e i suoi testi non riesce a sollevarsi dall’ambito modestissimo e un po’ imbarazzante del pettegolezzo.
Elena Ferrante non è un comune pseudonimo, e neppure un nome-paravento dietro cui nascondersi in silenzio: è un autore, ma è fatta di nuvole non meno di Elena di Troia – è una sorta di doppio. Questa è l’unica ragione per cui non si palesa, perché non ha corpo. Ciò non è identico affatto all’essere reticenti o allo stare nell’ombra.
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