Ha sempre amato la storia fin da piccolo o è una scoperta successiva?
Al liceo odiavo la storia, mi annoiava per come veniva insegnata. Per immergermi nel mondo medievale di Venezia sono partito dalla vita quotidiana, dalla città reale, non dagli eventi storici. Questo approccio mi ha aperto una visione della storia completamente nuovo. I grandi eventi sono stati filtrati attraverso gli occhi dei personaggi dei miei romanzi e in questo modo hanno acquistato una luce nuova, assolutamente umana. Ho sempre coltivato letture sul medioevo e quelle veneziane mi hanno riservato sorprese continue, tanto che a un certo punto ho dovuto interrompere le ricerche perché non avrei mai cominciato a scrivere. L’aspetto più stimolante delle scrittura di un romanzo storico è la possibilità di essere creativi dentro uno schema prefissato. Qualcuno può pensare che sia un limite alla fantasia, invece è una grande e affascinante scommessa. Nei miei romanzi Veneziani gli eventi storici, i riferimenti a luoghi, i fatti, i nomi, sono sempre documentati, ma poi si aprono dei buchi, delle falle della storia che si possono riempire con l’invenzione, e qui viene il bello.
Venezia esercita sempre un grande fascino nei romanzi storici, ma molto spesso leggiamo storie ambientate tra il XV e XVI secolo. Lei ha scelto di raccontare la Venezia medievale del XII secolo: perché questa scelta? Quanto era diversa la città in quel periodo?
La decisione di raccontare la Venezia delle origini nasce da domande molto semplici che credo si ponga ogni visitatore della città. Ammiriamo lo splendore e la grandiosità della Venezia del 1500, del 1600 e ci domandiamo: ma come siamo arrivati a questo? Come è sorta la città, su quali basi, con quanta fatica? Venezia prima di Venezia. Questo può valere per molte città storiche italiane, ma la differenza è che a Venezia abbiamo rari esempi delle sue origini ancora visibili, bisogna scovarne i pochi segni rimasti. A Roma è tutto visibile, i resti archeologici parlano da soli. A Venezia è tutto nascosto, bisogna scavare, osservare i particolari, leggere i segni delle acque, immaginare mondi sommersi.
Nel nuovo romanzo “Il rospo e la badessa” le vicende si svolgono nel 1172 all’indomani della morte del Doge Vitale II Michiel. La città di Venezia è davanti a un bivio: si spinge per modificare il metodo elettivo del Doge. Non più eletto dal popolo ma da un gruppo ristretto di prescelti. Uno scontro tra “populismo” e “democrazia” che, come leggiamo nella quarta di copertina, risulta ancora oggi molto attuale.
Il 1172 è un anno di svolta per la città. Cambiare metodo elettivo del Doge, che nei secoli precedenti era sempre stato per acclamazione diretta del popolo, e passare ad un metodo più rappresentativo, con il quale si cercano i migliori. Il tema mi sembra di grande attualità. La democrazia diretta è la più alta forma di democrazia, oppure è necessario scremare, scegliere, delegare? I veneziani hanno scelto la seconda strada, anche per limitare i poteri di una persona che accentrava su di sé troppi incarichi. Un grande insegnamento ancora oggi, anche se il percorso della grande democrazia veneziana è stato lungo, complesso, con regole anche troppo complicate, che avevano però la finalità di coinvolgere sempre più il popolo nella guida della città.
I libri precedenti (“La pietra per gli occhi” – “La bottega dello speziale” – “L’angelo del mare fangoso”) compongono una trilogia con protagonista l’amanuense Edgardo D’Arduino. Moltissimi i lettori affezionati a questo personaggio: lo rivedremo nuovamente in un romanzo in futuro?
Anch’io mi ero molto affezionato ad Edgardo, in qualche modo mi riconoscevo in lui. Però ho dovuto andare avanti, era proprio la storia con la S maiuscola a richiederlo. Se volevo raccontare eventi importanti per la città, dovevo guardare agli anni successivi. Così è avvenuto per il 1172. Edgardo sarebbe stato troppo vecchio, se non morto data la durata della vita a quei tempi. Sono passati circa 50 anni dai romanzi precedenti, troppi anche per personaggi che si sono molto amati. Per ritrovare Edgardo dovrei andare indietro nel tempo, forse prima del 1116, chissà, non si può mai dire.