(...) Prima poetessa in un inglese scritto stupendo, poi performer che declina in spoken words rappate i suoi testi, poi rapper con una band che vende al botteghino in concerto, Tempest lo scorso 9 luglio 2021 in Ca’ Giustinian ha ricevuto dalla Biennale Teatro di Venezia il Leone d’Argento assegnato da Stefano Ricci e Gianni Forte, con questa loro motivazione: «Per l’audacia luminosa nel posizionare deflagranti inneschi riflessivi e per voler ancora sperimentare in un genere definito di nicchia, come la poesia, mescolando l’aulico con il basso, la rabbia con la dolcezza degli affetti – tra versi e rime taglienti di shakespeariana memoria e dal forte contenuto sociale, miti classici e ibridazioni hip hop – arrivando a parlare col cuore a un pubblico sempre più vasto, entrandoti fin dentro le ossa, costringendoti a specchiarti nella tua dolorosa intimità». Il giorno dopo è salita sul palco del Teatro Goldoni per “suonare” il suo reading The Book of Traps and Lessons.
Avevo già segnalato qui il fenomeno-Tempest nel 2018, in un ragionamento sulla poesia (e sulla cattiva poesia) che viaggiava sui media pop. In questi giorni di giusto riconoscimento internazionale il suo editore italiano ha pubblicato un’altra sua raccolta, Running Upon the Wires (2018), ovvero Un arpeggio sulle corde.
Questa volta Tempest non volteggia come un angelo della disperazione sulle strade negli appartamenti di una Londra di single disperati o di coppie sbiadite e fiacche come in una tela di Edward Hopper, ma si esplicita come Saffo contemporanea, rovesciando nell’indice il suo amore erotico e drammatico per una lei che parte dalla Fine, attraverso il Mezzo, concludendo con l’Inizio; se ogni storia d’amore comincia dall’euforia e finisce in vineria, qui si fa che partire da lei che svanisce, che richiama giorni e settimane dopo, “amichevole”, straziando chi l’ama ancora, cercando di ammansire la pugnalata egotista dell’abbandono e si finisce con le farfalle nella pancia e la gioia del fare l’amore ore e ore, e l’incanto delle convivenze dove ogni dettaglio (come lei impugna la tazza del caffè, come lei si muove tra le stanze…) è un incanto. Così Tempest ci fa capire, con turbolenta empatia, che l’amore finisce sempre iniziando, e che è sempre la più bella illusione, e che dovremo viverla ancora e ancora, senza cauterizzarci nella singletudine (...).