(...) Tutti aspettavano al varco Valérie Perrin dopo che Cambiare l'acqua ai fiori ha portato lo scompiglio nelle classifiche mondiali dei bestseller, dove ha esercitato ed esercita ancora un lungo dominio. Con Tre, il suo nuovo romanzo, la scrittrice rischiava grosso. Specialmente con le lettrici. Molte non la amano, dicono che scrive roba da leggere sotto l'ombrellone, dicono che è una raccomandata (!?!?!?) in quanto moglie del vecchio maestro Lelouch. I lettori maschi, invece, la amano per il suo tocco francese un po' sentimentale e un po' canagliesco, metà pirata metà artista (alla Moustaki per chi se ne ricorda ancora). Valérie Perrin scrive romanzi come se fossero canzoni. Come se dovessero durare tre minuti e invece durano vite intere. Nello stesso tempo, scrive romanzi come se fossero cattedrali di arditissima architettura (e però leggere come se fossero costruite con i mattoncini Lego). I romanzi (tutti) sono castelli di carte, (è la letteratura, bellezza), ma provate a soffiare su quelli della Perrin: non crollano mai. A questo punto mi tocca rispondere alla domanda da un milione di dollari: Tre è più bello, più brutto o uguale rispetto a Cambiare l'acqua ai fiori? Me la cavo citando una delle più belle battute della storia del cinema italiano: la risposta tra sette giorni.