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Il codice della vendetta di Pasquale Ruju

Autore: Felice Laudadio
Testata: Sololibri
Data: 13 luglio 2021
URL: https://www.sololibri.net/Il-codice-della-vendetta-Ruju.html

Il terzo thriller dell’attore, autore, doppiatore, soggettista e fumettista nuorese, che vede protagonista Franco Zanna, reporter scontroso e alcolista, dopo “Nero di mare” e “Stagione di cenere”.

Francesco Livio Zannargiu ha cessato di esistere vent’anni fa, da un momento all’altro, senza avvertire nessuno, nemmeno le persone più care. Ed è nato Franco Zanna, paparazzo scontroso e alcolista, protagonista del terzo thriller della serie di cui è ruvido protagonista, Il codice della vendetta, pubblicato a gennaio 2021 dalle Edizioni romane e/o (240 pagine), a firma del nuorese Pasquale Ruju, attore, autore, doppiatore, soggettista e sceneggiatore di fumetti.

Tante vite in una per il figlio del pittore Tonino Ruju, perfino più delle due del suo personaggio. Laureato in architettura a Torino, Pasquale ha lavorato in teatro, cinema, radio, televisione, doppiaggio, prestando la voce a personaggi di cartoni animati, soap e telefilm. Nel mondo di carta, ha scritto più di cento episodi delle avventure di eroi popolari della scuderia di Sergio Bonelli Editore, come Dylan Dog, Nathan Never, Martin Mystere: il meglio del genere ed anche altri. Da scrittore ha esordito con un romanzo nel 2016 (Un caso come gli altri, e/o), prima di ripetersi con i due precedenti del reporter Franco Zanna, sempre per le Edizioni e/o, Nero di mare, nel 2017, e Stagione di cenere, nel 2018.

Sicché, fino a quasi vent’anni fa Zanna non c’era e se c’era era un altro, un promettente cronista di nera a Torino, sardo, prossimo alla laurea in legge, compagno fedele e appassionato di Carla, incinta della loro bambina Valentina. A causa di una foto sbagliata fatta alla persona sbagliata, aveva dovuto lasciare tutto: città, studi, lavoro, Carla, la piccola in arrivo, il suo stesso nome e cognome. Il boss della ‘ndrangheta Nicotra non aveva sprecato troppe parole per imporgli l’ultimatum nella cantina buia in cui l’avevano pestato a sangue. Avrebbe dovuto lasciare la sua donna, non contattarla più, dimenticarla o gliel’avrebbero sgozzata davanti agli occhi, dopo averla violentata a turno. L’amore per le due persone che adorava più di se stesso non gli aveva lasciato scelta. Francesco Zannargiu era morto al mondo, le aveva lasciate senza una parola e aveva assunto l’identità di Franco, solitario, sempre nei guai, con un vuoto nel cuore che cerca di colmare annegando nell’alcool e perdendosi nel nero. Rabbia, rimorso, rimpianto.

Poi Carla si è riaffacciata dopo diciassette anni (“Abbiamo un po’ di cose da dirci, non credi?”). Si ricongiungono meravigliosamente, ma non può tornare tutto come prima e come se niente fosse. Si amano ancora, ma lei ha tirato faticosamente avanti da sola, con la bambina, la cosa che a Franco è riuscita meglio nella vita precedente. Carla ha una vita a Torino, lavoro, amicizie, relazioni e di questo segmento lui non fa parte. Le serve tempo, per vedere le cose nella dimensione giusta. E riparte per il continente, lasciando Valentina da Franco. Tutto questo è spiegato rapidamente ed efficacemente. Più si legge Ruju più si vorrebbe leggerlo: viaggia spedito, diretto al centro del discorso, con ritmo e tanta semplicità.

In aeroporto, la sagoma di un uomo intravisto di sfuggita scuote Franco ancora più del dolore per il nuovo distacco. Lo riporta nella cantina: con Nicotra c’era un ceffo che non avrebbe mai potuto dimenticare. Il boss era morto anni prima e la sua cosca arrestata o dispersa. Era finito dentro anche Alfio Di Girolamo, il Catanese, poi uscito dai radar una volta tornato a piede libero. Ora, quei lineamenti scolpiti nella pietra li ha visti nascosti da un paio di occhiali da sole, in un uomo robusto, di media statura, che raggiungeva l’uscita dello scalo aereo. Francesco Livio Zannargiu aveva avuto paura di lui. Franco Zanna pagherebbe non si sa quanto per ritrovarselo davanti, faccia a faccia e regolare i conti.

Chiede alla sua sboccata datrice di lavoro ed ex amante di mettere a frutto un po’ di conoscenze dell’Agenzia Gallura Vera, per accertare se il Catanese è segnato in qualche lista passeggeri. Nessun Di Girolamo è atterrato, si apprende dalle Compagnie aeree, ma s’è venuto in Sardegna ci dev’essere una ragione. Il concerto di un rapper alla moda in un locale di lusso della Costa Smeralda richiama al lavoro il reporter barbaricino. Qualche amicizia lo mette nella condizione giusta per rubare più di uno scatto irripetibile ai momenti non pubblici del cantante e della sua donna. È così che Zanna si ritrova nella suite di lusso della coppia, rivoltata tutta sottosopra. Si direbbe un furto milionario, che che per un verso lo mette in una condizione di vantaggio rispetto agli altri fotoreporter - costretti a scattare immagini banali da lontano - ma per un altro lo spinge tra le braccia del commissario capo Ventura, barba da fare, cravatta allentata, faccione assonnato e visibilmente contrariato.

Guai grossi, ma sono gestibili: non è la prima volta che deve scansare la curiosità della Polizia. Ma c’è qualcosa di più intrigante, ripreso da uno scatto nella sala riservata in cui il rapper aveva cenato alla presenza di un Franco lindo, pinto e armato di microcamera discreta, invisibile e segreta. Un ingrandimento rivela che anche il Catanese era tra i privilegiati ammessi nel privè e siccome non lo crede affatto un fan del cantante, ci dev’essere il suo zampino in quello ch’è successo. L’ottimo giallo entra nel vivo, mentre qualcuno comincia a morire intorno. Non è dalla Polizia che Zanna deve guardarsi, ma lo zio Gonario, vecchio latitante barbaricino d’altri tempi - che gli ha fatto da padre - gli consegna una fidata Glock e diciassette pallottole. Quasi un arsenale.