Si scopre via via, andando avanti in questa storia di disastri ambientali e di vite ferite dalla propria sofferta normalità, che i personaggi fanno parte, sono parte viva del mondo, della terra, dell'ambiente appunto in cui vivono, e per scoprire che bisogna correre ai ripari si deve arrivare a situazioni limite, di crisi liberatoria. Siamo sulle rive del Tevere, tra Lazio e Umbria dove sui colli sopra Attigliano è il Faggio rosso, la vecchia casa di famiglia di Elena ora diventata bella villa e luogo di riposo e lavoro (lei fa la traduttrice) in cui le era cresciuta, in cui sono cresciuti i suoi due figli Susanna e Giovanni.
E' il posto dove un tempo credeva si non voler più tornare e, invece, vi portò d'improvviso, proponendo una deviazione al loro viaggio, Ettore che diverrà suo marito e che si innamora del posto. E' il luogo dove lei, scoperto un tradimento del marito, va a rifugiarsi e dove poi questi, rimasto a Roma coi ragazzi, deciderà di raggiungerla per cercare di ricominciare come sempre. Solo che nel frattempo ha cominciato a piovere, ma questa volta in maniera spropositata e violenta, una sorta di cupo diluvio universale che fa velocemente crescere il fiume che diventa difficilissimo da attraversare, dividendo le due rive e la famiglia, che resta un po' da una parte e dall'altra, con ognuno dei due che cerca di ricongiungersi e si mette in viaggio nonostante le condizioni proibitive. Il cielo era nero come il piombo sebbene si avvicinasse l'alba... la pioggia cadeva fitta e senza tregua o gli alberi erano piegati dal vento.... ebbe l'impressione che la strada, gli alberi, il cielo stessero per inghiottirli e ancora la nebbia che risaliva la valle pareva divorare il paesaggio... quelfiume da attraversare era una ferita. Da un lato i figli, dall'altro tutto il resto di sé. Le visioni apocalittiche, il sentirsi in balia della furia del maltempo, tornano via via a sottolineare la situazione,in cui l'auto di lui come quella dall'altra parte di lei si impantanano e non sanno più dove sono. Ma solo allora, sentendosi perduti, può cominciare qualcosa di nuovo. Sia Ettore che Laura, ognuno per proprio conto, entrano così pin piano in contatto con l'altro se stesso, sconosciuto e da scoprire, calata la maschera dell'uomo preso solo dal lavoro e della casalinga e madre avvilita e sola che ha rinunciato a un'occasione importante di lavoro e ha sotterrato quel suo lutto in una scatola nera in cui si erano accumulate tutte le incomprensioni reciproche.
Nel percorso per ritrovare la propria autenticità, per liberarsi dell'inquinamento quotidiano come sembra stia facendo anche la natura attorno a loro, sono aiutati da alcune esperienze e incontri con personaggi particolari, quasi momenti iniziatici, comunque rivelatori, come lo sarà il soggiorno in un convento con suore che praticano l'agricoltura sostenibile e naturale, quando la famiglia si riunisce. L'ecologia, ambientale e umana, che sta a monte del racconto ha comunque il vero motore nella donna. E' lei che rompe l'equilibrio inziale e lo vive sino alla fine nel momento in cui si torna assieme al Faggio rosso, dove tutto è però sconvolto, con un albero crollato sul tetto squarciandolo e gli altri ammassati uno sull'altro sradicati alla rinfusa: quelle rovine erano il senso profondo della nostra esistenza... le parole di Ettore - 'E' tutto da rifare' - risuonarono in me come una campana in una notte di silenzio e di morte, allora mi sono arresa e arrendendomi ho trovatola forza di reagire. Ho capito che l'unica strada possibile era lottare, senza sperare di ottenere qualcosa, semplicemente era ciò che mi avrebbe permesso di sopravvivere di sentirmi viva.