Parigi, fine Ottocento. In un’ala della Salpêtrière – l’enorme ospedale nel XIII arrondissement che, nei secoli, è stato prigione per prostitute e manicomio per folli, criminali, epilettici e isterici – Jean-Martin Charcot, il celebre neurologo, inizia un corso su isteria e ipnotismo. In breve tempo, i suoi studi ottengono un successo tale che ogni settimana centinaia di studenti da tutta Europa tra i più celebri il giovane Sigmund Freud raggiungono il nosocomio per ascoltarlo. Trascorso più di un secolo, Victoria Mas, una giovane scrittrice nata e cresciuta nel nord della Francia, alla Salpêtrière decide di ambientare il suo primo romanzo, “Il ballo delle pazze” (edito da Albin Michel), un caso editoriale, che dopo aver vinto numerosi premi diventerà presto un film. In Italia è stato pubblicato dalle edizioni e/o, tradotto da Alberto Bracci Testasecca. Il fulcro della storia è già nel titolo: si tratta del ballo di marzo che la Parigi dell’Ottocento definiva, per l’appunto, “il ballo delle pazze” dove, aperte le porte del manicomio per una sera, le alienate, travestite in abiti d’epoca e agghindate di tutto punto, diventavano una forma di intrattenimento a uso e consumo dell’alta borghesia dell’epoca. Parreb- be un espediente letterario ben riusci- to se, invece, non si trattasse di un’atti- vità poco conosciuta, sperimentata in numerosissimi manicomi e praticata fino alla loro chiusura definitiva. Non solo in Francia, ma anche in Italia.
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