Su un muro scrostato i nomi degli abitanti di una stabile in periferia.
Entreremo nelle loro vite in compagnia di Massimo Cuomo e non sarà indolore.
Sentiremo gli afrori di esistenze insoddisfatte, il respiro affannoso di sogni repressi, il sonno agitato macchiato dalla colpa.
Confessioni rubate, pensieri voluttuosi, gesti inconsulti.
Un’umanità che si svela senza pudori, pronta a sacrificare la propria intimità.
“Fuori c’è la città e basta, carbonizzata dai fumi delle ciminiere di Porto Marghera, inzuppata nel latte schiumoso di una nebbia scaduta, soffocata da un soffitto pesante di nuvole acide sotto cui alcuni trovano conforto mangiando tramezzini al granchio e salsa rosa.”
Lo scrittore diventa voce narrante e le sue parole sembrano cariche di un peso insopportabile.
Il peso della sciatteria, del tradimento, della violenza domestica.
In “Casa è dove fa male”, pubblicato da Edizioni e/o non si salva nessuno.
È come se l’aria viziata della lussuria e del peccato abbia impregnato lo stabile, propagandosi con malizia all’interno delle abitazioni.
Lia Busetto con “il vizio di sorvegliare la vita del palazzo” è l’occhio che non perdona, lo sguardo che lacera la Menzogna.
I Chinellato che “mangiano per disperazione” nella loro bulimia nascondono il perverso bisogno di fuggire dal quotidiano.
La gelosia incontrollabile di Schirru, le voglie represse della signora Ruzzene, la parsimonia ossessiva del signor Prampolini mentre il tempo sembra rallentare.
“Il dottor Sbrogio la aspetta senza vestiti, per non scondare che si trova dentro un appartamento vuoto dentro una vita vuota soltanto perché lei li riempie di sè.
E questa attesa, priva di indumenti e certezze, è diventata una straripante ragione di vivere.”
Che sia amante, compagna, moglie, la donna è il capriccioso incidente di percorso, il corpo che riempie il vuoto esistenziale.
Le emozioni si amplificano, i sensi sono tesi, la sensualità è una sfida.
Un libro crudo che nel realismo spietato racconta la difficoltà della convivenza, l’abberrante necessità di sopravvivere.
Metafora di un tempo che ci ha costretti a guardarci allo specchio e non sempre ciò che vediamo corrisponde a ciò che sappiamo di noi.
Da leggere senza cercare peccatori o santi.