La scomparsa di un genitore è una ferita con cui ognuno di noi deve fare i conti. Quanto mai quotidiana in un momento storico in cui tante persone si sono viste strappare dalla morte padri e madri. Eric-Emmanuel Schmitt, prolifico autore membro dell’Académie Goncourt e drammaturgo, analizza in questo libro tutte le fasi del suo lutto per la scomparsa dell’amatissima madre Jeannine. L’interruzione di un legame profondo, in cui si è radicato anche il suo essere, lo ha gettato in un profondo sconforto che lo ha portato a riesaminare il suo passato e a interrogarsi anche sui dubbi che ha da sempre sul padre, morto cinque anni prima della madre. Una madre bella, colta, un’atleta e una professoressa, che lo ha iniziato all’amore per il teatro e per la letteratura, con cui manteneva un contatto quasi quotidiano pur vivendo in due Paesi diversi, la prima lettrice di ogni suo libro. Lei che era stata sempre fonte di amorevolezza e incoraggiamento, se ne era andata all’improvviso a 87 anni alla vigilia della partenza per un soggiorno termale, con la beffa di aver scoperto la sua morte, avvenuta in casa, solo qualche giorno dopo. Come è stato possibile, si chiede l’autore, che nel preciso istante in cui lei se n’è andata lui non si fosse accorto di nulla, non abbia avvertito un segno? Scrive: «La mia vita è stata sempre ossessionata dall’angoscia che mia madre morisse. Ora è finita. La sua morte ha ucciso la paura della sua morte. Non temo niente. Era meglio vivere con il terrore di un’anticipazione che con la realtà del nulla». Schmitt non ha paura di mostrare tutta la sua vulnerabilità, le tante lacrime versate, il senso di vuoto, malgrado intorno a lui tutto andasse avanti: i nuovi libri da scrivere vissuti come una medicina dell’anima, le tournée teatrali, gli incontri con i lettori... Fino ad arrivare a uno stato di tale disperazione da meditare il suicidio. Pur animato da una fede profonda, la preghiera non riesce a lenire la sua infelicità. Il racconto del lutto dura due anni, alla fine dei quali Schmitt riesce ad andare sulla sua tomba: il dolore finisce per essere una mancanza che non morde più come prima, e a trionfare è la consapevolezza che sua madre avrebbe voluto che lui tornasse a essere felice: «Benché morta, mamma non è mortale. Vive dentro di me, nella parte migliore di me, quella che aspira all’essenziale».