Si accovacciò all’ingresso del capanno, perché il restante spazio era interamente occupato da un enorme cadavere. Un cadavere maschile, nudo, che stillava un liquido vischioso di colore chiaro da alcuni punti del suo corpo pieno di ferite. C’era poco sangue: solo piccole macchie di liquido rosso rappreso sulle braccia e sulle gambe, e vari lividi ed escoriazioni di colore azzurrognolo intorno alle spalle e alla nuca. Non era chiaro di che colore fosse la salma, e comunque non aveva un colore omogeneo. (…) La parte centrale del viso era del tutto deturpata. Come se fosse stato morso da una bestia feroce. Il naso non c’era.
Il romanzo “Frankenstein a Baghdad”, dello scrittore iracheno Ahmed Saadawi, edito da E/O, è ambientato a Baghdad durante l’occupazione americana del 2005-2006. La città è dilaniata dalle esplosioni, devastata dagli attentati kamikaze, attraversata dalle violenze settarie tra sciiti e sunniti, priva di un assetto statale e civile vero e proprio, sprofondata nella paura e nell’instabilità economica.
Hadi, che vive nel popoloso quartiere di al-Batawin, è uno zabāl, un raccoglitore di immondizia, uno straccivendolo sporco e scostante, che rovista per le strade di una città deturpata dalla guerra alla ricerca dei resti umani sparpagliati dalle esplosioni. Rattristato all’idea che ai corpi straziati delle vittime degli attentati non sia concessa adeguata sepoltura, Hadi decide di assemblare, con le parti raccolte per le strade, un cadavere che, “invece di essere lasciato a terra e trattato come spazzatura”, possa ricevere un funerale degno di questo nome.
Un giorno, il cadavere ibrido, ormai completo, viene occupato da un’anima errante, senza pace: il corpo prende vita, si alza e, animato dalla volontà di vendicare i proprietari degli organi che lo compongono, va ad abitare in casa di un’anziana vicina di Hadi, Elishua, che lo scambia per suo figlio, morto venti anni prima nella guerra contro l’Iran.
Il mostro, su cui indagano inutilmente polizia e giornalisti, comincia a uccidere, terrorizzando la popolazione di Baghdad, anche perché, man mano che compie la sua vendetta, sirende conto di aver bisogno di pezzi di ricambio, giacché gli organi di cui è composto si deteriorano in fretta. Finisce così per colpire anche vittime innocenti, pur di procurarsi le parti del corpo di cui ha bisogno.
L’opera si situa al confine tra il romanzo realistico e quello fantastico, assumendo spesso tinte cupe per narrare con lucidità la violenza e la ferocia della guerra. Con estremo realismo, infatti, sono descritti i popolosi quartieri della capitale irachena, i vicoli brulicanti di vita, il mosaico etnico e religioso formato dagli abitanti. Improntate a un forte realismo sono anche le scene che dipingono gli attentati e gli episodi cruenti, che non mancano davvero. All’elemento fantastico l’autore ricorre ampiamente per raccontare la storia del mostro, il modo in cui prende vita e si dedica alla sua missione vendicatrice, ispirandosi largamente alla narrativa fantastica occidentale, specialmente alla letteratura dell’orrore.
Ma, oltre all’elemento fantastico, il testo racchiude in sé anche una dimensione politica e sociale. Non è difficile vedere, nella figura del personaggio senza nome, l’incarnazione delle questioni politiche, sociali, morali e psicologiche che affliggono il Paese, visto che il governo formatosi dopo il 2003, data di inizio dell’invasione americana, non è riuscito a mettere a punto un programma atto ad aiutare l’Iraq a risollevarsi, sicché la forma e l’identità dello Stato sono diventate ambigue, hanno assunto contorni nebulosi, proprio come il mostro protagonista dell’opera.
Il romanzo può essere letto anche come un tentativo di mettere in discussione i valori assoluti, che non colgono le diverse sfumature della realtà: in tempo di guerra, nessuno è un autentico criminale o una mera vittima, sembra dire l’autore. Un combattente, per esempio, può essere considerato contemporaneamente un terrorista o un eroe, a seconda dei punti di vista. E così accade anche alla creatura senza nome, che, inizialmente, è amata e osannata dalla popolazione come un paladino del popolo iracheno. In seguito, però, quando il mostro comincia a mietere vittime casuali, il Frankenstein iracheno si trasforma, agli occhi di tutti, in un incubo da cancellare al più presto.
È possibile, infine, vedere nel mostro il simbolo della distruzione di massa. La creatura innominata potrebbe incarnare una rappresentazione drammatica della distruzione materiale e del crollo delle regole della convivenza civile. In altri termini, si tratterebbe semplicemente di una metafora della violenza, che non può produrre altro che male.
Tra horror e denuncia sociale, tra violenza esponenziale e fantasia macabra, “Frankenstein a Baghdad” è un romanzo che cancellerà finalmente, dalla mente dei lettori, l’idea orientalista che la narrativa araba sia popolata soltanto da odalische, sceicchi e cammelli.