Entrare alla Salpêtrière significa chiudere definitivamente con il mondo, rimanere risucchiati in un sistema che ti considera e ti considererà pazza qualsiasi cosa tu faccia. Che tu gridi o sia remissiva, che preghi o bestemmi, che tu sia paralizzata o scossa dalle convulsioni. Se hai superato il suo portone non importa che sia una borghese o no, veramente folle o solo curiosa, non importa niente, sei e sarai sempre un'alienata, una creatura a metà strada tra una malata e un fenomeno da baraccone; uno scarto della società, qualcuno che le famiglie, là dove ci siano, vogliono nascondere e mai più rivedere. Questo si ritrova ad essere dall'oggi al domani Eugénie, tradita dalla nonna, dal fratello e dal padre. Ha un dono, sentire gli spiriti, vero o falso che sia poco importa. Se sente le voci è pazza, se non le sente e mente è una mitomane, il suo destino è di marcire nel prestigioso manicomio femminile di Parigi, nato come discarica degli strati più abbietti della società come prostitute e ladre e divenuto verso fine '800 un centro all'avanguardia per la cura (poca) e l'osservazione (tanta) di quelle che erano considerate malattie femminili, l'isteria, la pazzia, la mitomania. Tra le alienate in realtà c'è di tutto un po', ma soprattutto ci sono donne, ragazze, bambine che hanno subito violenze o che sono state rifiutate, qualcuna soffre di epilessia, ma per lo più Eugénie si trova a dover convivere con la povertà, il maschilismo, la violenza.