Login
Facebook
Twitter
Instagram
Newsletter

Come vivo senza te

Autore: Antonella Fiori
Testata: F Rivista
Data: 24 marzo 2021

Tua madre non c’è più. Non la puoi chiamare, non la puoi più abbracciare, non potrai mai più dirle niente. Tua madre è morta. Hai sessant’anni, lei quasi novanta. «È la vita», ripetono tutti. Ma non ce la fai, non lo accetti. «La mia vita è sempre stata ossessionata dall’angoscia della morte di mia madre. La sua morte ha ucciso quella paura. Ma era meglio vivere con il terrore di quella anticipazione che con la realtà del nulla», dice Eric-Emmanuel Schmitt, scrittore e drammaturgo francese, che quando è morta sua madre ha addirittura pensato al suicidio, non riuscendo a superare il dolore. Una discesa agli inferi che lo ha spinto a scrivere un diario, ora diventato un toccante libro, Diario di un amore perduto.

Cosa vuol dire perdere un genitore da adulti?

A livello razionale, ho sempre pensato che i miei genitori sarebbero morti prima di me. Ma la morte reale scatena delle emozioni che sono imprevedibili. Il ragionamento è prevedibile, l’emozione no.

Il mondo le è franato addosso.

Letteralmente, anche perché il mio mondo era basato sulla sua presenza, sul fatto che ogni giorno, da sempre, potessi raccontarle quello che mi era accaduto. Questo mi rendeva leggero, felice. Senza di lei il mondo è diventato pesante, mi sono rifugiato nella tristezza, l’ultima forma del nostro amore.

Quando ha deciso di pubblicare questo libro?

Dopo la sua scomparsa nel 2017, per due anni ho tenuto un diario. Mi sono accorto che il dolore faceva un percorso, ero passato dal rifiuto alla tristezza alla volontà di superare il lutto. Ho voluto condividere questi pensieri con i miei lettori.

Spesso si soffre perché c’è qualcosa di irrisolto nel rapporto. Cosa avrebbe voluta dire a sua madre che non le ha mai detto?

Io e mia madre non ci siamo mai detti: «Ti amo». Ma non ce n’era bisogno, era evidente. Tra noi non c’erano delle parole d’amore ma dei gesti d’amore, delle prove d’amore. Non ho rimpianti, mentre con mio padre ne avevo molti.

Che rimpianti ha avuto con suo padre?

Per tutta la vita ho avuto il sospetto di non essere suo figlio, eravamo troppo diversi e ho pensato che mia madre potesse avermi avuto da un’altra relazione. Dopo la morte di mia madre invece ho scoperto che sono stato profondamente voluto da entrambi. Un regalo inaspettato che oggi mi rende più sereno. Posso piangere sulla tomba di entrambi.

Racconta di aver pensato al suicidio. Quali erano le motivazioni?

Chi mi conosce, anche come personaggio pubblico, sa che io sono un uomo ottimista e forte. Eppure capita di sentire di uomini e donne forti che si sono suicidati. E sa perché? Quando si è forti non si è abituati a sentirsi tristi. Così il suicidio diventa un modo di intervenire per sopprimere il dolore. Io ho pensato di suicidarmi perché non sopportavo la tristezza.

Cosa l’ha salvata?

Proprio mia madre. Attraverso un’amica mi aveva lasciato un messaggio dove mi chiedeva di prometterle di essere felice. Se avessi continuato a essere triste, l’avrei tradita. Non ho voluto farlo. Nel momento peggiore, è arrivata questa “luce”, anche se la tristezza non se n’è andata: sento la sua mancanza ogni giorno. Ma se prima era un colore che ricopriva tutto, adesso è un colore in mezzo agli altri colori.

Sua madre è morta sola: pensava fosse partita per le terme, invece aveva avuto un malore. Avete scoperto il suo corpo molti giorni dopo.

È stata una tragedia nella tragedia. Come la sofferenza dei figli che in tempo di pandemia non possono stare accanto ai genitori anziani che muoiono per il Covid. La sorella di mia madre adesso è all’ospedale malata di virus. Mia cugina non può andare da lei. È qualcosa su cui lo Stato deve intervenire, una privazione di moralità, non solo di libertà.

Ha compreso perché è stato tanto difficile accettare la scomparsa di sua madre?

Perché la morte ti mette di fronte alle parole “mai più”. Oggi l’ho sostituita con la parola “sempre”: bisogna far vivere la persona che non c’è in ogni momento della nostra vita. Far vivere tutti i doni che ci ha lasciato e i valori che ci ha trasmesso. Nel caso di mia madre porterò sempre con me i suoi sorrisi, l’amore per i viaggi e per il teatro, che poi è diventato la mia vita.

Nel libro racconta che molte persone non comprendono il suo dolore, come se la morte fosse un tabù per la nostra società.

Si pensa che la morte sia un incidente e come tale si possa evitare, invece fa parte della vita. Non si deve avere paura di affrontare le emozioni: bisogna amare la nostra condizione umana e vivere intensamente. Perché solo quando abbiamo la coscienza della vulnerabilità siamo più generosi e presenti con gli altri.

Lei dice di diffidare dei due “assassini” della nostra esistenza: speranza e nostalgia.

È così. Quando si è giovani ci si prepara a vivere e quando si è vecchi ci ricordiamo di aver vissuto, perdendoci il presente. Questa presa di coscienza l’ho avuta con la morte di mia madre. E ora vivo molto più nell’istante.

Siamo stati travolti da un grandissimo imprevisto, la pandemia. Che rapporto ha con l’incertezza che domina le nostre vite?

Da sempre, ho il terrore che il telefono suoni per darmi una brutta notizia. La paura che un altro ci possa lasciare è in ognuno di noi. Quando ero giovane volevo controllare tutto. Pensare di avere il controllo di tutto è un’illusione. Restiamo aperti all’imprevisto, a quello che ci è sconosciuto. Anche se a volte è crudele, anche se è la morte. Altrimenti la vita non ha senso.