Per Nina Bouraoui la scrittura è un modo per esplorare il concetto di frontiera e identità, e ogni sua opera rappresenta una variazione, una meditazione diversa sull’esistenza. In “Tutti gli uomini aspirano per natura al sapere” l’autrice, che non ha mai fatto mistero del proprio orientamento sessuale, lo mette in relazione al disorientamento dovuto al trasferimento da una cultura largamente influenzata dalla religione musulmana (quella algerina) a una più liberale (o per lo meno sessualmente liberata) come è quella francese a cavallo del ventunesimo secolo – L’approfondimento
Nina Bouraoui (foto di Patrice Normand, ndr) è una scrittrice di origine algerina, naturalizzata francese (nata da padre algerino e madre francese), che da oltre tre decenni esplora il significato di un’esistenza divisa tra due paesi e culture diversi.
La sua scrittura è fortemente influenzata da autrici (e autori) come Marguerite Duras, Violette Leduc, Annie Ernaux e Hervé Guibert. Scrittrici e scrittori che, come Baraoui, hanno esplorato la dimensione catartica della scrittura con opere costantemente tese tra autobiografia e autofiction. Opere in cui le esperienze umane, dalle più semplici come un’estate in colonia alle più difficili e drammatiche come l’aborto o la diagnosi dell’AIDS, sono state decostruite, dissezionate e amplificate per dare vita a riflessioni sul senso più largo dell’esistenza. Meditazioni in cui l’io presente e la sua storia personale non sono che il punto di partenza e accesso a un viaggio verso la comprensione più vasta del mondo, della Storia e delle tracce che questa lascia ogni giorno sulla nostra vita.
Nel romanzo Mes mauvaises pensées, ancora inedito in Italia ma vincitore del prestigioso premio Renaudot nel 2005, Baraoui ha composto un monologo-confessione di duecentocinquanta pagine con sdoppiamenti e slittamenti temporali degni di un film di David Lynch (da cui Baraoui si dice influenzata), in cui l’io finzionale racconta al proprio analista una vita che si muove tra traumi e desideri in una linea temporale che si snoda avanti e indietro tra estati in Algeria e Francia. Una vita in larga parte sovrapponibile, ma non del tutto, a quella di Baraoui stessa.
In Tutti gli uomini aspirano per natura al sapere (e/o, traduzione di Silvia Turato), la voce narrante racconta invece la scoperta e l’esperienza della propria omosessualità in una doppia vita divisa non solo tra un passato algerino e un presente parigino, ma anche tra una dimensione diurna assoggettata alle pressioni sociali e una notturna all’insegna dell’esplorazione dei propri desideri. Una doppia vita su cui pesa anche la memoria storica e culturale ereditata dalla famiglia fuggita dall’Algeria.
“Riunisco tutto quel che so della mia famiglia come pezzi di un oggetto rotto da ricomporre. Dal disordine nasce un ordine. Ai silenzi si accavallano gli echi del passato. Voglio sapere chi sono, di cosa sono fatta, cosa posso sperare, risalendo il filo della mia storia il più lontano possibile, attraversando quei misteri che mi perseguitano con la speranza di chiarirli”.
Per Baraoui la scrittura è un modo per esplorare il concetto di frontiera e identità. Proprio per questo da un’opera all’altra ricorrono frequentemente elementi autobiografici: l’infanzia in Algeria, l’eredità della memoria e il trauma della storia algerina, il trasferimento a Parigi, gli anni in Svizzera, le estati sulla Costa Azzurra, la scoperta della propria omosessualità, la vergogna per una doppia vita e la finale accettazione di sé. Ogni opera rappresenta per Baraoui una variazione, una meditazione diversa sull’esistenza. Prese nel loro complesso compongono una una sorta di gioco di prospettive, dove il centro è uno, ma gli sguardi sul mondo sono infiniti. Tra questi, a lato dell’esperienza di sradicamento culturale, quello sulla sessualità.
Nina Baraoui non ha mai fatto mistero del proprio orientamento sessuale, anzi lo ha analizzato con profonda acutezza e ha descritto l’impatto che ha avuto sulla sua vita privata. Come Edouard Louis e Didier Eribon che hanno scritto del rapporto tra omosessualità e classe sociale, Baraoui, come recentemente la giovane Fatima Daas, ha messo la sua sessualità in relazione al disorientamento dovuto al trasferimento da una cultura largamente influenzata dalla religione musulmana (quella algerina) a una più liberale (o per lo meno sessualmente liberata) come è quella francese a cavallo del ventunesimo secolo.
Non è dunque un caso che il tema principale di Tutti gli uomini aspirano per natura al sapere sia quello della frontiera, intesa in senso ampio: quella letteraria e di genere nel rapporto tra fra romanzo e biografia, quella geografica tra Algeria e Francia, quella temporale tra passato e presente, ma anche quella sessuale ed etnica.
Baraoui cerca di superare queste frontiere, eppure ne rimane una insormontabile: quella della scoperta di sé, e non per un fallimento, ma perché si tratta di una frontiera mobile, una frontiera la cui posizione si muove con l’accrescersi delle nostre esperienze.
In tutta la sua opera Baraoui cerca di conoscersi e scoprirsi, usando se stessa e delle vite finzionali. Se Simone De Beauvoir diceva che donna non si nasce, ma si diventa, e descrive il percorso di scoperta di sé come un percorso lungo una vita, Baraoui porta avanti la riflessione in un territorio in cui all’identità femminile si aggiungono quella queer, musulmana e quella di migrante. Anche solo per questo Tutti gli uomini aspirano per natura al sapere merita tutta la nostra attenzione.