Stando alle parole che Ettore usa per descriverla ai loro due figli, Elena è una madre “che vive nei libri”, ma non sa – o meglio – non si accorge che, quella sua passione, è anche un modo per distrarsi dall’accettare una realtà in cui c’è la fine di un rapporto che non è più quello di un tempo, quando si capivano al volo e i loro corpi si toccavano senza preavviso, diventando così l’un per l’altro casa, radice e conoscenza di ogni minimo dettaglio. Quanto pesa l’adulterio, “un dolore che rende pazze” (o pazzi, a seconda di chi è coinvolto). Da mesi Elena sa che lui frequenta una donna diversa da lei, ma quando li vede insieme e scopre che è anche più giovane, scoppia la bolla. Non riesce più a pensare ad altro e perde il controllo di un tempo imprevedibile e indeterminato che ha qualcosa di spaventoso. Che senso ha – si chiede – tutta la fatica di essere una buona madre, una traduttrice seria, un’amica, una zia, una figlia, una nuora e una donna se poi non si è capaci di farsi amare dal proprio uomo? E se fosse, invece, proprio quell’indeterminatezza del tempo a rendere la vita ancora possibile? Scappare da una Roma che va a rotoli come il loro matrimonio e scegliere l’Umbria può essere la soluzione, l’inizio di un viaggio che, complice un contesto climatico stravolto quanto travolgente, coinvolgerà e cambierà entrambi. Anche perché, quando sono entrambi i mondi a crollare, quello interiore e quello esterno, ci possono essere dei nuovi modi di stare insieme e di amare.
Che bella sorpresa e che meraviglia è Dopo la pioggia (edizioni e/o), il nuovo romanzo di Chiara Mezzalama, e quanto ha ragione il premio Pulitzer Jhumpa Lahiri quando dice che in quelle pagine l’autrice è riuscita ad affrontare le distanze che erodono le relazioni più intime, la vicinanza fra creazione e caos e lo sconforto di trovarci ai limiti di un mondo sostenibile “con grande compostezza e lucidità”. Compostezza e lucidità, lo ripeto di nuovo, forse perché quel contegno e quella capacità fanno così parte di Chiara che non le abbandona mai, neanche quando ci parlo al telefono da Roma e lei è a Parigi, la città in cui ha scelto di vivere dalla fine del 2014 lasciando il lavoro di psicoterapeuta infantile e portandosi dietro i due figli piccoli. “È una città accogliente che ti dà una seconda o terza possibilità, un modo per ricominciare”, mi dice. “Subito dopo, però, c’è stato l’attentato al Bataclan che è poco distante da casa mia e altri in diversi punti della città, avvenimenti tremendi che hanno trasformato il quartiere in una specie di cimitero a cielo aperto con fiori ovunque, caos e terrore, una cosa scioccante”. Nel dicembre del 2015 c’è stata anche la COP21, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima, e in quel momento Chiara - come tutto il suo quartiere e la città - ha deciso di reagire iniziando a seguire il lavoro di giornalisti militanti ecologisti durante la conferenza, appassionandosi sempre di più a questo argomento, “perché l’ecologia racchiude tutto”, dalla politica alla giustizia, dall’economia al colonialismo, dal clima al nord e al sud, alla guerra, e altro ancora. “Ho letto molto - aggiunge - cercando di capire come potessi raccontare queste cose in un romanzo, visto che ci sono più saggi che romanzi sull’argomento”. “L’idea che ci siano dei personaggi coinvolti in una situazione del genere era la cosa giusta da fare ed è andata ad unirsi a quello che stava accadendo nella mia vita”. Parigi non è bastata, ma l’ha aiutata molto e come darle torto quando mi ricorda che “lì, in tempi normali, succedono tante cose, incontri molte persone interessanti e diverse, c’è un’energia e un movimento non solo culturale che a Roma non si sente più da anni”. Messo da parte il suo lavoro precedente, ha iniziato a insegnare Letteratura all’Istituto di Cultura Italiana e a scrivere libri, per bambini e non, e a finire Dopo la pioggia che sarebbe davvero bello se diventasse un film.
Come Elena, anche Chiara è riuscita a prendere il suo posto, rompendo un guscio all’interno del quale si è ritrovata per troppo tempo. Ha ritrovato se stessa e si è creata una nuova famiglia. Quella ‘normale’ esiste laddove per normale si intende quella in cui uno costruisce i suoi affetti. “Il legame di sangue è restrittivo”, precisa Mezzalama. “Da quando sono arrivata a Parigi, la mia famiglia sono i miei vicini, le mie amiche, le persone del quartiere e c’è l’idea che i miei figli possano essere educati anche da altri adulti che non siano per forza i loro educatori. È bello che ci siano possibilità educative diverse. Qui frequento tante amiche che sono sole e senza figli, che vivono fuori dai canoni borghesi, ma è importante che i miei figli conoscano e vivano anche questo. La famiglia non te la scegli: è ciò di cui tu ti prendi cura. I piccoli hanno bisogno di te, ma anche noi possiamo occuparci di altri così come gli altri possono occuparsi di noi, creando così una rete molto più larga. Lo trovo interessante, ma soprattutto, molto utile”. Ogni genitore ha i suoi limiti, ma nel sistema allargato c’è più tolleranza e cultura, c’è più libertà. “C’è un problema tipico della società quando hai dei figli, o almeno è stata questa la mia esperienza. In quel momento ho capito che sono donna e che sarebbe stato complicato. Sono stata educata a studiare e a viaggiare, sono sempre stata molto libera fino a quando non sono nati loro che hanno avuto tutte le mie attenzioni e nel fare questo, una cosa naturale, è come se avessi chiuso delle porte rispetto all’evolversi e all’esplorazione di me stessa. L’importante è trovare un giusto equilibrio:
restare donna pur essendo madre è possibile, anche perché l’identità non si può limitare solo a quello"
“Chi non fa niente non rischia niente, ma è non facendo niente che succedono le cose peggiori”, scrive in un passo del libro che non è affatto un romanzo distopico o catastrofista, ma una piacevole lettura in cui c’è leggero scivolamento in qualcosa che sta già succedendo. “Non facendo niente – aggiunge lei a voce - si diventa passivi rispetto a ciò che accade. È come se venisse tolta la speranza, la voglia e il coraggio fino a condurti a un malessere profondo che è poi quello che oggi viviamo un po’ tutti”. Quello che c’è stato con gli attentati, ora c’è con la Pandemia: siamo stati chiusi in casa e continuiamo in parte a esserlo e chissà cosa accadrà in futuro. L’importante è aspirare a tornare (si spera presto) a uscire di nuovo come prima. In una parola: reagire.
“Ognuno di noi ha qualcosa che può fare - continua - e dobbiamo ritrovare il coraggio di uscire e stare con gli altri, altrimenti è finita”. Sbarazzarsi di una vita sbagliata è necessario e per farlo occorre avere coraggio che è da usare anche per andare incontro a ciò che conta davvero, cercando la felicità senza dimenticare che la vita non fa mai quello che ti aspetti e può esserci anche l’ignoto, l’avventura, che poi è anche il suo bello”.
Il bello e quel senso di avventura lei li vive e respira sin da piccolissima. Figlia di diplomatici, ha vissuto con i genitori e il fratello in Marocco e in Iran, “un’esperienza di grande ricchezza”, viaggiando per il mondo anche quando suo papà lavorava per le Nazioni Unite, tra l’Africa e l’America del Sud (“oggi è impensabile”) per poi tornare a Roma, la città dove è nata. “Ritornare a una vita normale dopo l’isolamento in ambasciata, non è stato facile e forse è per questo che dell’adolescenza non ho un bellissimo ricordo: mi sentivo spaesata e isolata, sempre al posto sbagliato”. Come Parigi adesso, Roma allora le è stata di aiuto. “A un certo punto i miei genitori sono andati a vivere in Svizzera e mio fratello e io ci siamo rifiutati. Oggi Roma è di una bellezza sconcertante e non vivendoci più, non ne subisco i malfunzionamenti, anche se mi dispiace molto che stia vivendo un momento difficile. Mi sono riconnessa alla città durante la Pandemia e vederla così vuota è stato surreale, ma ho capito anche quanto il turismo di massa abbia avuto un impatto devastante”.
“La nostalgia è un sentimento struggente che c’entra molto con la scrittura”
Stando all’estero, può subentrare anche la nostalgia, anche di cose che non si sono vissute. “È un sentimento struggente che c’entra molto con la scrittura”, piega, “perché quando scrivo è come se cercassi di avvicinarmi alle cose che mi mancano, a quelle che mi hanno fatto soffrire o che desidero. È un motore per me molto forte e ha un sentimento dolceamaro, ha un lato di piacevole come di mancanza”. Tra i suoi scritti, oltre ad Avrò cura di te (suo primo romanzo pubblicato da e/o) e a Voglio essere Charlie: diario minimo di una scrittrice italiana a Parigi (Edizioni Estemporanee 2015), c’è anche il romanzo Il giardino persiano (Edizioni e/o) che in Iran è stato censurato e a cui è ispirata una versione per bambini, Le jardin du dedans-dehors, un album illustrato vincitore di numerosi premi. Il giardino appunto (splendido quello dell’ambasciata italiana a Teheran) che proprio nella cultura persiana – ci ricorda prima di salutarci - è il paradiso in terra. È all’interno di un muro, uno spazio protetto dove puoi ritrovarti e di cui devi occuparti se non vuoi che diventi una giungla e si rovini. “Bisogna approfittare della sua bellezza che è fatta anche della cura che uno gli dà. Che è poi la chiave di quello che ci aspetta. Dobbiamo imparare a prenderci cura di ciò che ci circonda: gli esseri umani, la natura, gli animali e tutti gli esseri viventi e rimetterci all’interno di un ecosistema di cui noi siamo soltanto una parte”.