La signora Busetto vive attaccata allo spioncino della porta di casa, osserva gli altri in modo maniacale, talvolta lecca il legno nell’attesa. Sta a piano terra e di lì vede passare tutti i condòmini, invidiando la vita che non ha e dialogando ormai poco con il consorte Paolo, ex conducente di autobus, drogato di televendite. Sono loro il primo nucleo familiare a occupare la scena in Casa è dove fa male, quarto romanzo di Massimo Cuomo che segue un piccolo mondo in disfacimento: gli abitanti di sette appartamenti di un edificio di Mestre, ciascuno dei quali si lega simbolicamente, per le vicende che vi avvengono, a uno dei vizi capitali.
A coglierle da narratore onnisciente, raccontandole in terza persona, è il palazzo stesso che ne percepisce gesti e energie e che nell’incipit confessa: «La verità è che provo una specie di tenerezza per le presenze che scruto, negli appartamenti, agitarsi invano o piuttosto abbandonarsi nell’immobilità. D’altronde dove fuggire?». Da nessuna parte, se non nella ripetitività delle proprie ossessioni che aumentano d’effetto nei cinque lunghi capitoli intrecciandosi tra di loro in un climax.
Vi sono, dirimpettai dei Busetto, i golosi Gigio e Nena Chinellato: 267 chili di coniugi con un figlio adolescente, Anselmo, che alterna assalti di fame e di violenza entrambi incontrollati. Loro, ad esempio, finiscono per mangiarsi dopo averlo cotto in forno il povero Manlio, il cane del vicino del piano di sopra. Quest’ultimo, l’operaio sardo «taciturno e peloso» Severino Schirru che è stato lasciato dalla moglie che picchiava per gelosia, si ritrova invece coinvolto in una tresca fetish con la vicina cattolica Gianna Ruzzene, moglie di Alvise. A completare il panorama, vi sono poi gli avari Damiano e Sonia Prampolini, che vivono in ultra-parsimonia, il lussurioso e folle dottor Sbrogio, uomo di mezza età che attende sempre nudo in casa la paziente ventenne che lo fa impazzire, e le accidiose Menegozzo, madre e figlia.
I loro destini si incrociano con buon ritmo, grazie anche al gioco di eventi chiave e all’idea che le azioni di un piano si riflettono come energie negli altri, mentre in uno stile articolato il tono è caricaturale nella rappresentazione dei personaggi e grottesco in diverse scene. A muovere le storie del gruppo, in un romanzo tanto corale quanto conflittuale, sembra essere l’amore che non c’è più e che spesso viene ricordato dai personaggi nella ricostruzione malinconica dei loro primi incontri e passate vite. Al suo posto e nelle loro azioni, vi è un desiderio sessuale ottuso e animalesco che si specchia nel racconto, in cinque brevi intermezzi tra i capitoli, di una coppia di topi, uno «grosso come una ciabatta da uomo», che tra innumerevoli amplessi diventano centinaia, invadendo il palazzo.
In quest’universo chiuso, claustrofobico, nero nel finale, si vedono gli effetti, per il condominio-narratore e probabilmente per l’autore, di un errore fatale: «Imitare l’amore degli altri», perdendo quello per se stessi.