Zyzo osserva il vorticare della neve, al di là dell’enorme vetrata che costituisce la Piramide fuori dal Castello. Non può che far a meno di pensare a quanto sia romantico veder scendere i fiocchi di neve quando si è al sicuro e al caldo. Al Tepee invece la neve vuol dire solo una cosa. Freddo implacabile. Da quando è lì, “prigioniero” nel castello, Zyzo pensa sempre più di rado alla sua tribù, completamente travolto dal vortice delle attività dei ragazzi del Castello. Ha scoperto che il vero nome del Castello è Museo del Louvre e che le M poste fuori a determinati incroci indicano una cosa che si chiamava “metropolitana”, un intricato sistema per muoversi sotto terra; ha anche imparato che il Birth Day e la Serata del Santuario corrispondono a due date ben precise: il Solstizio d’Estate e d’Inverno. Ha perfino scoperto il significato del suo nome: Zyzomys infatti è anche il nome di un topolino tipico dell’Australia, conosciuto proprio per la sua capacità di intrufolarsi in qualsiasi pertugio. Forse è per quello che Mordelia e Akan hanno scelto proprio lui per quella missione. Non c’è dubbio che lui sia il più abile del Tepee a intrufolarsi negli spazi angusti e quella finestra rotta, a inizio estate, era stata troppo invitante per non cedere alla tentazione di scoprire chi fossero e come vivessero i ragazzi del Louvre; sarebbe dovuto tornare ormai da un pezzo e spiegare come attaccare quella fortezza. E invece è ancora lì, seduto al centro della Piramide di vetro cullato dal tepore del riscaldamento acceso, dalla voglia di continuare a conoscere il mondo frequentando le lezioni nei Padiglioni e soprattutto preferendo la compagnia di Alixe piuttosto che quella della sua tribù…
Somiglia un po’ alla Parigi dei giorni nostri - alle prese con la pandemia di Covid-19 e svuotata dal lockdown - l’ambientazione del primo libro della saga urban fantasy post-apocalittica dello scrittore francese Michel Bussi. Ben lontano dai racconti che lo hanno consacrato come giallista di fama mondiale (nel 2011 il suo Ninfee Nere vinse il Premio Michel Lebrun e il Gran Prix Gustave Falubert), Bussi immagina una Parigi spopolata, senza elettricità, nella quale la natura si è ripresa i suoi spazi. Se non fosse per due tribù - quella del Tepee (Tour Eiffel) e quella del Castello (Louvre) - formate da preadolescenti, unici sopravvissuti alla nube tossica che ha portato allo sterminio della popolazione mondiale. Sin dalle prime pagine, Bussi costruisce una trama complessa raccontata, ricca di colpi di scena e di filoni narrativi, che permettono al lettore di comprendere il motivo di astio e di diffidenza tra i due gruppi. Al Louvre, infatti, un ingegnoso sistema basato sull’energia elettrica ha permesso ai ragazzi non solo di studiare e apprendere, ma anche di trascorrere al riparo la stagione invernale e al fresco quella estiva; una vita fatta sì di sacrifici, ma ben diversi rispetto a quelli sopportati dei ragazzi della Tour Eiffel, costretti a una vita di caccia e all’aperto. A sconvolgere il precario equilibrio, la minaccia di una nuova catastrofe naturale. Ricco di riferimenti artistici e culturali, in grado di suscitare la curiosità del lettore e “immaginato molti anni prima di questo catastrofico 2020”, La caduta del sole di ferro pone molti dei nodi che si sono dovuti affrontare quest’anno, tra cui la necessità di tutelare l’ambiente e il pianeta e il fare i conti con una catastrofe non prevedibile e non gestibile. Un libro per young adults, ammantato da una atmosfera quasi magica, che si adatta bene anche a pubblico più adulto e consapevole, poiché portatore di un messaggio di speranza che non conosce età: solo insieme e con l’accettazione del “diverso” si può puntare alla rinascita. Anche da una catastrofe mondiale.