“Che stiamo aspettando?” Chiede il Rosso.
“Non lo so. E’ una domanda strana. In genere uno sa cosa aspetta, no? Oppure spera qualcosa e la faccenda è più vaga.”
“Pane per i bambini e scuole perché siano meno coglioni di noi?”
“Per esempio.”
“Ma non basta aspettarlo. Non è un treno, non arriva da solo, bisogna andare a cercarselo. Credo che la Comune sia questo. Siamo andati a cercarci le cose per non aspettare ancora secoli che ci cadessero in grembo ben mature.”
A volte, una recensione ha bisogno di decantare per giorni, forse per settimane. Perché ti rendi conto che dietro una storia ci sono stati uomini che hanno combattuto per degli ideali, che hanno creduto nella parità dei diritti, esseri umani che fino all’ultimo respiro hanno cercato di rendere migliore la vita propria e degli altri.
Siamo a Parigi, anno 1871. Dopo una pace forzata imposta dai prussiani, la città è stremata dalla fame e dalla miseria, nella quale stupisce la capacità di sopportare la sofferenza con dignità e orgoglio. Ma che è disposta a vendersi l’anima per una pagnotta, un pezzo di lardo o la promessa di una minestra calda.
Questa situazione ai parigini non sta bene e cerca di sovvertire l’ordine delle cose affidandosi a un manipolo di rivoluzionari – la Comune – di matrice anarco-socialista che proverà a lottare alla pari di un topolino contro una tigre per ristabilire un ordine.
Una settimana di sangue, così è stata ribattezzata, che fu dal 21 al 28 maggio, nella quale Nicolas Bellec – sergente – Joseph detto Il Rosso e Adrien, cercheranno utopisticamente di creare una società fondata sull’uguaglianza, sfidando soldati e criminali allo stesso modo. Personaggi inventati, certo, ma la storia è tutta lì, nuda e cruda con un bilancio di oltre ventimila morti.
Ruotano attorno a questo improvvisato trio altri personaggi come Caroline – l’amore contrastato di Nicolas – infermiera tosta ma troppo bella per non attirare qualche attenzione di troppo; Henri Pujols, serial killer con una predilezione per le ragazzine; Clovis, vetturino del fiacre e personaggio molto contraddittorio. Infine Antoine Rogues, delegato alla sicurezza eletto dagli uomini del 65° battaglione.
Le Corre è un abile maestro nel costruire il suo romanzo come un perfetto cesellatore nel quale rifinisce il proprio lavoro incastrando alla perfezione le storie dei suoi personaggi, ma anche la Storia di una città e di un Paese che hanno affrontato sempre con molta determinazione il rivalersi dei propri diritti e inseguire i propri sogni.
Un romanzo cosiddetto “corale”, dal quale si percepisce uno spirito patriottico e coeso alla ricerca di una forte identità.
“Parigi operaia, con la sua Comune, sarà celebrata in eterno come l’araldo glorioso di una nuova società. I suoi martiri hanno per urna il grande cuore della classe operaia. I suoi sterminatori, la storia li ha già inchiodati a quella gogna eterna dalla quale non riusciranno a riscattarli tutte le preghiere dei loro preti”. (Karl Marx)
Immaginarsi ora con la pancia piena un quadro così devastante credo sia molto difficile, è per questo che dobbiamo preservare la memoria storica di questi avvenimenti per le generazioni future, le quali rischiano di cadere in un limbo dal quale sarà impossibile uscirne. E’ un effetto cromatico di colori, questo libro: dal rosso del fuoco e del sangue, al grigio della fuliggine e dei proiettili, al nero del male assoluto e del buio negli occhi degli assassini che in ragione di ogni guerra uccidono senza pietà.
Relegare un libro del genere a un noir, francamente, lo trovo riduttivo e in parte fuorviante, ma la scrittura di Le Corre in questo romanzo ha una potenza e una forza tali da non permettersi una banale catalogazione.