Massimo Cuomo si è imposto all’attenzione di tutti, come narratore, con “Piccola osteria senza parole”, pubblicato nel 2014, piccola epopea della provincia veneta rispecchiata nel microcosmo di una osteria di paese. Prima, sempre con le Edizioni E/O, aveva pubblicato “Malcolm”. Poi, invece, un romanzo di ambientazione sudamericana, “Bellissimo”, pubblicato anche nel mondo anglosassone. Domani arriva in libreria il quarto romanzo dell’autore veneziano, che oggi vive a Portogruaro. Si intitola “Casa è dove fa male” (Edizioni E/O, pp 208, 16,50 euro) ed è ambientato in un condominio di Mestre.
«Mi serviva una città» spiega «che contribuisse a creare uno sfondo coerente con la narrazione ma soprattutto a ridurre il più possibile la sensazione che ci fosse una via di fuga dal condominio. L’incipit schiaccia non a caso il palazzo tra la nebbia, un soffitto pesante di nuvole e i fumi di Porto Marghera». Una realtà anche vissuta: «Ho scelto Mestre perché ci ho vissuto da bambino, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, e il ricordo che ho recuperato è quello, però filtrato dallo sguardo del condominio: è sempre lui che osserva, descrive, giudica. E volevo fosse uno sguardo freddo. Uno sguardo limitato alla visuale che un condominio può avere».
In effetti, il condominio con otto inquilini è un microcosmo inquietante. «Una libraia» continua Cuomo «un giorno mi ha detto che nei miei romanzi si percepisce l’amore che provo per il genere umano. Stavolta, anche se può sembrare il contrario, è il romanzo stesso a essere un atto d’amore: perché il mio condominio è una teca di vetro dentro cui ho isolato gli istinti peggiori per permettere al lettore di vederli, di farci i conti. È una storia che non aspira a proporre soluzioni ma a produrre reazioni». I condomini, infatti, sembrano irrecuperabili: «A un certo punto mi sono accorto che la mia vita era impastata di relazioni che non avevo scelto di avere. Effetti collaterali di altre scelte, più o meno consapevoli, più o meno obbligate. Relazioni che mi facevano perdere tempo o soffrire, che mi peggioravano in qualche modo. E, senza averlo davvero deciso, ho incominciato a liberarmi di quelle relazioni, prima nella realtà e poi, come faccio sempre quando devo sistemare le cose, sulla carta. In entrambi i casi rinunciando alle buone maniere».
Esperienza personale che diventa letteratura: «Il condominio del libro – confessa Cuomo – è venuto dopo, cercando il modo giusto per sintetizzare questa esperienza: chiunque sceglie un appartamento in un condominio in cui andare a vivere sta acquistando – spesso con buona dose di leggerezza e ottimismo – anche tutto il pacchetto dei vicini di casa, perfetti sconosciuti che entreranno nelle nostre vite. Una macchia di muffa sulla parete di un muro come una lite furibonda alla riunione condominiale sono quasi sempre il risultato di una valutazione pregressa superficiale».
E nel libro ogni appartamento, eccetto il misterioso ottavo piano, ospita un vizio capitale: «Associare i vizi capitali a ogni appartamento» dice Cuomo «è stata la soluzione che ho scelto per tentare di raccontare nella maniera più ampia e precisa possibile le tipologie umane, appoggiandomi a categorie predefinite, quindi meno soggettive. L’ho fatto a mio modo, ricalcando sui contorni di ogni figura perché è così che mi piace disegnare i personaggi: concepisco la letteratura come un dipinto, quindi libero di concedersi sfumature paradossali, non come uno scatto fotografico o, ancora peggio, come un dipinto che tenta di emulare una fotografia». Con però un realismo di fondo che è rappresentato anche dagli inserti in veneto. «Il dialetto» conclude Cuomo «conferiva loro più verità e tutto quello che contribuisce a rendere i miei personaggi più veritieri, a farli vedere con maggiore chiarezza al lettore, per me va bene Perché ho grande rispetto per il lettore e perché, per chiedergli di credermi, di seguirmi quando sposterò il personaggio oltre il limite, ho bisogno di convincerlo a fidarsi di quel personaggio e a fidarsi di me».