Parigi, marzo 1885, alla Salpêtrière, l’ospedale psichiatrico femminile dove sono rinchiuse centinaia di alienate, balorde ignorate dalla società, si respira una strana atmosfera di attesa ed euforia. Le pazze cercano di comportarsi bene, seguono le regole, evitano le risse. Sono eccitate e impazienti mentre si preparano al grande evento: il ballo in maschera che si terrà nel loro ospedale psichiatrico. È l’evento mondano più eccentrico dell’anno a cui sono invitati i notabili della città. La Parigi bene aspetta di vedere le matte da vicino e le internate sognano di potersi sentire libere per qualche ora.
Questo racconta Il ballo delle pazze della francese Vittoria Mas (e/o), romanzo storico dalla ricostruzione dettagliatissima, bestseller in patria, di cui è già in lavorazione la versione cinematografica. L’idea rivoluzionaria di mischiare le pazienti psichiatriche alla crème della borghesia parigina è del dottor Jean-Martin Charcot, pioniere della neurologia. All’ospedale è a capo del reparto delle «convulsionarie», le vittime di epilessia e isteria. Le studia, e cerca di aiutarle, avvalendosi soprattutto delle tecniche di ipnosi. Le sue lezioni, aperte al pubblico di studiosi e giornalisti, sono seguitissime e tra i suoi allievi c’è anche il giovane Sigmund Freud. «Nei salotti e nel caffè si fanno illazioni su come possa essere il reparto di Charcot... Immaginano donne nude che corrono nei corridoi, sbattono la fronte sul pavimento, allargano le gambe per accogliere un amante di fantasia, urlano a squarciagola dall’alba al tramonto. Descrivono corpi di pazze che scoppiano in convulsioni sotto lenzuola bianche, espressioni alterate sotto capelli irsuti, facce di vecchie, di obese, di brutte, donne che è sacrosanto tenere a distanza, anche se non si sa perché, visto che non hanno arrecato offesa o commesso delitti».
Alla Salpétrière si entra ma non si esce. L’ospedale ha una storia lunga e infausta: a fine Seicento le internate erano incatenate, due secoli dopo sono apparentemente libere, sedete con dosi massicce di etere e cloroformio. Le donne ricoverate sono quasi tutte di ceto sociale povero: figlie, madri, sorelle sopravvissute a violenze e abusi, divenute strane, scomode, inutili. Rinchiuse dai parenti per evitare i danni e i costi.
L’autrice con uno stile drammatico e incalzante osserva in particolare tre ospiti del nosocomio. Louise, sedicenne epilettica è la paziente ideale di Charcot, che la rende protagonista delle sue sedute pubbliche. La ragazza si impegna a essere più inquietante possibile perché vuole emulare una giovane, studiata prima di lei, diventata un fenomeno chiacchieratissimo in città: «Louise da sola si agita, piega braccia e gambe, oscilla con il corpo a sinistra e a destra, si gira sulla schiena, sulla pancia, contrae mani e piedi fino a non muoverli più, altera il viso in espressioni che vanno dal dolore alla gioia (...). Un superstizioso penserebbe di trovarsi di fronte a una donna posseduta dal demonio, e del resto molti nel pubblico si fanno con discrezione il segno della croce». Poi c’è Eugénie, ragazza di buona famiglia, allontanata dal padre, con la sola colpa di credere alle teorie di Hippolyte Léon Denizard Rivail, il pedagogista che, con lo pseudonimo di Allan Kardec, scrisse Il libro degli spiriti, molto in voga in quegli anni. Per una ricca famiglia borghese avere una figlia che sostiene di parlare con i defunti è una disgrazia: meglio rinchiuderla in manicomio. Infine, Geneviève, capoinfermiera di lungo corso, rigida e severa, orgogliosa del suo lavoro, di cui per troppo tempo ha voluto ignorare il lato più oscuro. «Ammirava i medici più di quanto avesse mai ammirato un santo. Accanto a loro aveva trovato il suo posto».
Ciascuna delle protagoniste per sopravvivere, nel manicomio, si aggrappa alle proprie convinzioni, anche se sono verità dolorose e difficili da condividere. Ma nella serata surreale del ballo in maschera, quando follia e razionalità sembrano non avere più confini, tutto può diventare finalmente possibile.