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Tutta Parigi voleva ballare alla Salpêtrière con isteriche, dissolute e cospiratrici

Autore: Andrea Marcolongo
Testata: TuttoLibri
Data: 6 febbraio 2021

«È un posto carico di fantasmi, urla e corpi martoriati in cui bastano i muri a farti diventare pazza, se non lo sei già arrivando - in cui dietro ogni finestra qualcuno spia, qualcuno vede o ha visto.»

La Salpêtrière, il grandissimo ospedale in mattoni del XIII arrondissement di Parigi, è il sinistro teatro, palpitante di vita e di dolore, del romanzo Il ballo delle pazze di Victoria Mas, tradotto in italiano da Alberto Bracci Testasecca.

Il destino di quest’ospedale a metà strada tra manicomio e prigione è iniziato subito dopo la posa della sua ultima pietra. Fin dal Seicento ha rinchiuso - in catene - povere donne, mendicanti, vagabonde e prostitute selezionate su ordine del re. Insieme alle dissolute, trasportate su carri scoperti e esposte alla mercé dell’opinione pubblica, sono arrivate anche le pazze, le deliranti, le cospiratrici, le malinconiche - in sintesi, le donne che la pubblica morale non sapeva gestire. Nel Settecento, per mancanza di spazio, l’ospedale venne riservato ad accogliere solo pazienti colpite da turbe psichiche - violentate e giustiziate a colpi d’ascia durante la Rivoluzione. A metà dell’Ottocento, epoca in cui è ambientato il romanzo di Mas, catene e percosse hanno ceduto il posto alla sperimentazione sulle malate, genericamente definite «isteriche» - parola la cui etimologia, dal greco hystericos, rimanda direttamente all’utero femminile. Tra compressori ovarici e sostanze psicotrope, le sedute di ipnosi dell’illustre dottor Charcot si svolgono in pubblico e attirano una gran folla di curiosi.

Nei salotti e nei caffè di Parigi adagiati tra la Senna e il Jardin des Plantes, tra l’Île de Saint Louis e il Pantheon, il «reparto delle isteriche» dell’ospedale della Salpêtrière è infatti diventato una sorta di oscuro mito intorno al quale si chiacchiera e si fanno illazioni. Notai, avvocati e, più in generale, tutti gli integralisti difensori della morale borghese si dilettano ad immaginare donne nude che corrono nei corridoi, sbattono la fronte sul muro, allargano le gambe toccandosi in preda a erotici deliri, urlano dall’alba al tramonto. «In quella gente spaventata dalla minima eccentricità, pensare alle alienate eccita il desiderio e alimenta i timori. Sono affascinati e inorriditi dalle pazze». Per questa ragione, ogni anno viene organizzato il ballo di mezza quaresima che dà il titolo al romanzo, dove i «sani» membri della borghesia parigina sono invitati ad ammirare, come fossero bestioline di un circo, le «pazze» dell’ospedale, per l’occasione mascherate in costume. Resterebbero delusi, I censori della buoncostume, se in un giorno qualunque osassero varcare la soglia della Salpêtrière: le pazienti, quasi cento in un dormitorio soltanto, trascinano un’esistenza silenziosa e invisibile passando lo straccio sul pavimento, oppure a letto in attesa di un domani che non arriva mai, spazzolandosi i capelli guardando un punto lontano alla finestra: sono di tutte le età, dai tredici ai sessantacinque anni, sono brune, bionde, rosse, magre o grasse, vestite e pettinate come lo sarebbero se passeggiassero per le strade di quella ville lumière che le ha bandite. «Non c’è nessuna isterica che balla scalza nei corridoi freddi, solo una preponderante battaglia muta e quotidiana per la normalità.»

Tra di loro, in questo racconto che è tutto un’attesa, nervosa e insieme rassegnata, del ballo, emergono i destini di tre donne. Louise ha solo sedici anni ed è rinchiusa alla Salpêtrière da tre per una generica diagnosi di isteria: si tratta invece di un abuso sessuale, perpetratele dallo zio quando era ancora una bambina sotto gli occhi della zia - sono state le accuse della donna a farle ancora più male della violenza dell’uomo. Geneviève invece non è «pazza»: è l’infermiera a capo della Salpiltriere, ma la sua vita sembra più quella di una monaca dopo che, per restare mentalmente «sana» in seguito alla morte della sorella, ha scelto di rinunciare a tutto in nome della scienza, Eugénie, infine, è la nuova arrivata: è state scaricata alla Salpêtrière della sue borghesissima famiglia, inorridita dal fatto che la figlia sostenesse di non credere in Dio, bensì negli spiriti che è in grado di vedere. Le loro sorti si intrecceranno la sera del ballo, insieme a quelle degli uomini che a quella vita le hanno condannate.

Con questo ballo in cui in cui le «pazze» sembrano le uniche in grado di sentire davvero - di fatto, le uniche a saper vivere - Victoria Mas consegna al lettore un romanzo intenso e fiero, che obbliga a spostare i limiti tra normalità e follia e insieme a riconsiderare quanto caro, nel corso della storia, è stato il prezzo pagato dalle donne per essere legittimate a esistere «perché gli uomini esercitano la pazzia sugli altri, mentre le donne su se stesse».