Chiara Mezzalama fa parte delle scrittrici che, trasferitesi a Parigi alla ricerca di altre ispirazioni, le trovano con successo alternando le loro trame tra la Francia e l’Italia. Come Alba De Céspedes nel 1967 con “La bambolona”, da cui Franco Giraldi nel 1968 ha tratto il film omonimo con la magistrale interpretazione di Ugo Tognazzi del donnaiolo a Roma finito nella disperazione dopo il riscatto pagato alla ragazza messa incinta.
E, come De Céspedes, in alternanza alle opere sui fatti contemporanei di Parigi (rispettivamente: “Chansons des filles de Mai”, ed. Seuil 1968 e “Voglio essere Charlie: diario minimo di una scrittrice italiana a Parigi”, ed. Estemporanee 2015), Mezzalama riambienta ora a Roma e nella campagna dove il Tevere fa da confine tra il Lazio e l’Umbria, il suo romanzo “Dopo la pioggia” (ed. E/O, febbraio 2021).
Ettore ha uno studio d’Ingegneria ed è sposato con Elena, con cui ha una figlia, Susanna, dell’età di Greta Thunberg, altrettanto arrabbiata di questa per lo scempio climatico, e un figlio, Giovanni, d’età minore che lo preoccupa non apparendo virile ed essendo interessato soprattutto alla scuola di balletto. La loro vita sembra quella d’una famiglia felice in un bell’appartamento a Piazza Margana, ma a causa d’una relazione d’Ettore con Claudia in ufficio e nella mansarda che egli aveva da studente Elena, dopo i sospetti, sente sempre più il vuoto entrare nella banalità della vita giornaliera, temperata saltuariamente dalle traduzioni di libri stranieri che la fanno parzialmente uscire dalla quotidianità. Finché un temporale, peggiore e più lungo di quelli che di solito gonfiano il Tevere e riducono Roma a una pozzanghera, violenta anche il suo animo, che prende coscienza del tradimento che Ettore le ha infine comunicato, e decide improvvisamente di partire in macchina per la casa di campagna che ha vicino a Orte. Allora Ettore, dopo i rimorsi da cui è preso, mentre in alternanza vede e non vede a causa del tempo il cielo di Roma da uno dei suoi luoghi più belli, il piazzale del Quirinale, da dove per Via della Dataria continua il suo percorso verso casa, e dopo che i figli lamentano l’assenza della madre, decide con loro di raggiungerla.
Ma il maltempo e le inondazioni costringono sia Elena (dopo aver scambiato qualche considerazione sulla vita con una prostituta per strada) che Ettore, con i figli nei pressi di Orte, ad abbandonare le rispettive auto e ad accettare l’aiuto di una persona del posto. Ne conseguono un’amicizia di Elena con Guido che vive lì con la passione dei tartufi, e di Ettore e dei figli con Ove, un norvegese che come tanti nordici, scandinavi, inglesi o tedeschi s’innamorano dell’Italia e si stabiliscono in quelle campagne. Dove tutti si conoscono, e così entrano tra le conoscenze anche una giapponese stabilitasi lì dopo l’incidente nucleare di Fukushima con il marito cuoco, attratto dai pranzi italiani, e una comunità di suore di diverse nazionalità in un convento nel quale Ettore e i figli si riparano di notte, e vedono come anche loro ormai trattano i prodotti ortofrutticoli con criteri industriali.
La mescolanza d’interessi tra i protagonisti si manifesta anche nei dialoghi sulla cultura giapponese di cui Elena è appassionata, traducendone dei libri, sui confronti tra il matsutake e il tartufo e simili, sulla curiosità delle suore per la vena artistica di Giovanni, e sulle conseguenze della tragedia di Fukushima e del cambiamento climatico su cui Susanna pretende d’avere più di tutti ragione.
Il realismo con cui Mezzalama descrive dunque la situazione d’una coppia arrivata al momento di crisi quando i figli capiscono già tutto, e il contesto sociale in cui ciò avviene ed è messo a prova da un evento imprevedibile (meglio l’alluvione del covid già indigesto letterariamente), insieme agli strappi tra l’attrazione sentimentale e quella fisica dei protagonisti, richiama non solo il realismo del suo primo romanzo, “Avrò cura di te”, ed. E/O, 2009 (solidarietà tra un’insegnante con problemi di comunicatività e un’immigrata marocchina ripudiata dal marito), ma anche quello interpretato da Tognazzi ne “La bambolona”, per cui il libro della Mezzalama merita d’essere riportato sugli schermi da uno di quei registi che ben descrivono, con questo genere di trame, la società attuale.