C’è questo disco intitolato “To Cy & Lee: Instrumentals Vol. 1”, del compositore e sassofonista Alabaster De Plume, uscito nei primi mesi dello scorso anno e pubblicato da International Anthem, una coraggiosa e innovativa etichetta discografica jazz d’avanguardia di Chicago, che ascoltandolo ha la capacità di catapultarti in un mondo fatto di fantasia e di sogni, come in un film di Miyazaki, e allo stesso tempo riesce a indagare nelle pieghe più oscure e profonde dell’animo umano. La stessa cosa succede in modo sorprendentemente simile anche leggendo Colloqui di pace, il secondo romanzo del diplomatico inglese di stanza a Londra Tim Finch, edito in Italia da e/o. Finch, scrittore e giornalista con un curriculum di tutto rispetto (ha lavorato per la Bbc e per alcune istituzioni politico-diplomatiche come l’Institute for Public Policy Research e il Refugee Council), riesce a raccontare in maniera magistrale, quasi sottovoce, una storia particolarmente intima e brutale donandole un respiro epico. In un lussuoso e raffinato resort sulle Alpi austriache seguiamo le vicende di Edvard Behrends, stimato diplomatico di lungo corso, alle prese con un complicato negoziato di pace tra due imprecisate fazioni mediorientali. Nei momenti di pausa dalle consultazioni Edvard Legge, passeggia, ascolta musica, perdendosi in se stesso e respirando a pieni polmoni l’aria pura e cristallina d’alta montagna. Ben presto si capirà però che “i colloqui di pace” che danno il titolo al libro non sono tanto riferiti ai negoziati quanto a delle lunghe e distorte confessioni immaginarie che il nostro affezionato rivolge alla sua interlocutrice, la moglie Anna, morta tragicamente in seguito a un sanguinoso attacco terroristico avvenuto qualche anno prima in una strada nel centro di Londra: “Ciò che forza i limiti della credibilità dunque, ciò che sconfina nel regno del mito, è che una donna di cinquantacinque anni, una psichiatra di chiara fama, esca da un istituto di ricerca della Central London in un pomeriggio di maggio della seconda decade del Ventunesimo secolo e venga decapitata da un giovane dalla folta barba, e dall’aspetto mediorientale, che brandisce una spada possente e urla: Allahu Akbar!”.
Scritto in maniere garbata ed elegante, il lavoro di Tim Finch ricorda quanto allo stile e al tema affrontato romanzi recenti come, ad esempio, Resoconto di Rachel Cusk, per la sua capacità di affrontare questioni complesse quale l’emotività in età adulta. Straziante e malinconico, Colloqui di pace ci racconta le sofferenze dell’animo umano e la sua – tanto costante quanto varia - ricerca di pace esplorando contemporaneamente i grandi temi della diplomazia, del vuoto e di quello che significa perdere la cosa a cui più si tiene al mondo. Una lettura che risulta essere particolarmente adatta a questi tempi immobili eppure frenetici che stiamo nostro malgrado tutti vivendo. Da leggere, magari, con un bel disco jazz in sottofondo.