Pasquale Ruju e il suo nuovo libro, “Il codice della vendetta” Ritorna l’ex giornalista di cronaca nera diventato paparazzo
La Sardegna per Franco Zanna non è solo casa. È un purgatorio. Un luogo di esilio forzato. La ama ma al tempo stesso vivere nell’isola gli ricorda di continuo il motivo che l’ha portato a lasciare tutto: una bella carriera a Torino, la splendida fidanzata Carla e un futuro luminoso e tranquillo. Ai quei tempi si chiamava ancora Francesco Livio Zannargiu, e non era un paparazzo scontroso, solitario e alcolista, col brutto vizio di attirare i guai, ma un giovane e bravo reporter di cronaca nera. Troppo bravo, forse. Tanto che una sua inchiesta riesce a smascherare un politico di rilievo colluso alla ’ndrangheta. Qualche settimana dopo quello scoop Francesco riceve una visita dai mafiosi che lo “convincono” ad abbandonare l’inchiesta e Torino, subito, quella notte stessa, diversamente si rifaranno su Carla. Suo malgrado Zannargiu obbedisce. Trova rifugio nella terra natia e conforto nella bottiglia. Si reinventa una vita col nome di Franco Zanna, divenendo un fotoreporter per un tabloid scandalistico. Addio a inchieste delicate e importanti, e benvenute notti infinite nei locali della Costa Smeralda a caccia di foto a vip e starlette della televisione da rivendere all’agenzia della fida Irene. Nel nuovo romanzo di Pasquale Ruju, “Il codice della vendetta” (Edizioni e/o, 17 euro), Zanna sembra aver trovato un poco di pace dopo le avventure di “Nero di mare” e “Stagione di cenere”. Sta finalmente ricostruendo un rapporto con Carla, l’ex fidanzata e madre di sua figlia Valentina, e la loro vita a Porto Sabore scorre placida e quasi idilliaca. Una mattina in cui riaccompagna Carla all’aeroporto, però, il suo passato ritorna a perseguitarlo. Tra i viaggiatori in arrivo Zanna scorge Alfio Di Girolamo, detto “Il Catanese”, famigerato killer di ʼndrangheta. Di Girolamo è l’uomo che tanti anni prima aveva minacciato Zanna, intimandogli l’esilio. Da quel momento, preda del furore vendicativo, il reporter non riesce a pensare ad altro che all’uomo che gli ha rovinato la vita e al motivo che può averlo condotto in Costa Smeralda. In suo soccorso verrà suo zio, Gonario Strangio, latitante e fuorilegge barbaricino che della vendetta ha fatto uno stile di vita.
Dopo “Stagione di cenere” ritorna con un noir intenso e serrato, in cui il tema della vendetta, declinata in chiave barbaricina, esercita un forte e oscuro fascino.
«La vendetta fa parte della cultura barbaricina. Anche oggi, sebbene molto più lievemente che in passato, si cresce con l’idea che sia una sorta di obbligo sociale. È il retaggio di anni in cui si era lontani dalla società centralizzata, dall’influenza della polizia – che era vista con diffidenza - e dallo Stato in senso più ampio. Autoregolamentarsi con una vendetta che doveva essere proporzionale all’offesa era l’unico modo per avere un minimo di giustizia in quelle comunità rurali del centro Sardegna. A mio avviso nelle zone più centrali si respira ancora questa storica esigenza della vendetta rispetto a un torto subìto. Spesso ancora oggi capita di assistere a situazioni che rievocano quel vecchio “codice” consuetudinario. Mi sembrava interessante che Zanna, il mio protagonista, si confrontasse con questo sentimento».
Nel noir il passato torna sempre per chiudere i conti. Sapeva già dal primo romanzo che il personaggio del Catanese sarebbe tornato in questa serie?
«Sì, avevo previsto che sarebbe tornato prima o poi nella vita di Zanna. Mi è sempre piaciuto mescolare personaggi da libri e serie diverse; per cui un personaggio che magari è protagonista in un libro può riapparire come comprimario in quello successivo. Probabilmente accadrà ancora in futuro. È un gioco che faccio con i miei lettori più fedeli, che mi diverte molto».
Il fascino del personaggio del latitante e bandito barbaricino Gonario Strangio – lo zio di Zanna – è senza pari.
«È uno dei personaggi a cui sono più legato. È nato dalle suggestioni della mia infanzia e adolescenza, trascorse a Nuoro. È ispirato a diverse persone che ho conosciuto nella mia vita, ma è anche figlio di quei racconti orali e di quelle leggende di Barbagia di cui mi raccontavano i miei nonni. È un personaggio mitico, da un certo punto di vista. Un bandito galantuomo. Una razza ormai estinta da tempo».
Rivendica ancora la sua appartenenza al filone del noir mediterraneo di Izzo, Carlotto e Vázquez Montalbán?
«Certo. Sono convinto che il noir – e il noir mediterraneo in particolare – abbia ancora molto da dire. Probabilmente bisognerà trovare nuove strade per raccontare questa realtà così complessa che muta sempre più velocemente, praticamente di giorno in giorno. Forse bisognerà, adattandosi ai tempi, trovare nuove forme per farsi sentire, ma il noir secondo me sarà sempre un’ottima casa per affrontare certi argomenti».
La ’ndrangheta si è da tempo insediata in Sardegna,. Teme che con i fiumi di liquidità che presto lo Stato immetterà nell’economia legale questa organizzazione possa intercettare questi fondi e utilizzarli per rafforzare ancora di più la sua presenza “pulita” nell’isola?
«È molto probabile che le organizzazioni mafiose cercheranno di mettere mano ai fondi destinati al Recovery Plan. Anche se nell’isola non abbiamo mai conosciuto la mafia “militare”, quella più sanguinaria, abbiamo però conosciuto molte situazione di investimenti e di riciclaggio della mafia “imprenditoriale”. Questa è una presenza molto silenziosa e quindi maggiormente pericolosa e infida. Oggi rischiamo di assistere a una recrudescenza di questi fenomeni, quindi bisogna tenere la guardia molto alta, e da parte delle istituzioni ci dev’essere un controllo molto accurato, ancora più che in passato».