La scrittura di un autore come Mathias Énard si nutre di un fattore biografico imprescindibile se si vuole comprendere la sua intera produzione letteraria: il suo cosmopolitismo. Mathias Énard non solo è uno scrittore-erudito ma è un grande viaggiatore, un cosmopolita nell’accezione più ampia che a questo termine si può attribuire. Dopo essersi formato in Storia dell’arte all’École du Louvre, ha intrapreso lo studio dell’arabo e del persiano e ha viaggiato estensivamente in Medio Oriente, dove ha vissuto per più di dieci anni: lunghi soggiorni di ricerca in Siria, Libano, Iran, hanno formato la sua sensibilità di autore. Stabilitosi a Barcellona nel 2000 insegna lingua e letteratura araba all’Università autonoma e collabora con diverse realtà letterarie e culturali e all’attività di professore affianca quella di traduttore.
Nel 2016, con il sorprendente Bussola ha vinto il premio Goncourt e il von Rezzori ed è stato finalista al Man Booker International prize e al Premio Strega europeo. Mathias Énard è uno scrittore di difFIcile catalogazione, per l’estensione dei suoi studi e per la libertà di una lingua narrativa in costante evoluzione e sperimentazione. In questa sua ultima opera tradotta In Italia, Ultimo discorso alla Società proustiana di Barcellona (E/o), Énard costruisce un testo di prosa in versi, con parti integrali in diverse lingue (arabo e francese lasciati in originale anche nella traduzione italiana affidata a Lorenzo Alunni e Francesco Targhetta) e lunghi attraversamenti letterari, spazio-temporali, che lo portano a Sarajevo flagellata dalla guerra, alla Beirut assediata del conflitto, in Polonia tra gli echi cupi della deportazione ebraica, in Russia e in Tagikistan, nella Spagna dei poeti più amati. Sono i passaggi della sua personale geografia a interiore, quelli che Énard affida al lettore, una geografia a ricchissima di rimandi e citazioni e nutrita di una profonda conoscenza della storia e delle ferite di un Novecento tumultuoso e lacerato, di struggente bellezza. Sono appunti di viaggio e poesie di amore, lettere di addio e immagini di così profondo mistero da riuscire a squarciare il velo che confonde il reale e il sogno, come istanti di epifania in cui, grazie alle parole, il dolore più profondo risplende: “Sono di ritorno a Damasco/ chissà / fatico così tanto a dire dove mi trovo / poco tempo fa abitavo in una calle/ in una città di sale / dove non si è da nessuna parte / tra Costantinopoli / e Rodi”.