Ognuno accanto alla sua notte, di Lia Levi, è un bel libro. Lo diciamo subito in apertura a scanso di equivoci, e non perché si intenda poi sminuirne in qualche modo il valore, ma solo per mettere le mani avanti in relazione a un discorso di ‘moralità letteraria’ cui il bel volume di Lia Levi si presta, giustificando egregiamente la sua esistenza.
La Shoah e dintorni è diventata comprensibilmente, nel dopoguerra, terreno di infinite incursioni narrative. La Shoah è stata saccheggiata senza alcun rispetto da narratori e da cinematografari, talora anche in buona fede, ma per far cassetta, per sfruttare un filone tristemente ‘di moda’. Ricordo, solo per fare un esempio, un romanzo che a suo tempo ebbe buona visibilità, In fuga (Fugitive Pieces, 1998), dell’ebrea canadese Anne Michael, che prendeva spunto dalla Shoah per intrecciare retoricamente vicende sentimentali che alla rappresentazione, alla credibilità e alla memoria della Shoah non rendeva certamente un buon servizio. E non si può non menzionare il film La vita è bella, di Benigni, del cui autore non va messa assolutamente in dubbio la buona fede, ma che mescola fiaba e realtà in modo così organico da far sì che la Shoah cada vittima della rosea fantasia fiabesca e delle sue inverosimiglianze. La Shoah, alla fine, subisce l’edulcorazione della struttura della fiaba cui la rielaborazione fittizia la sottopone. Ora, se c’è un pericolo che – a parer mio, ovviamente – si dovrebbe evitare in relazione alla Shoah è quello di rappresentarla con modalità che giochino con il fantastico, che la rappresentino come una passeggiata in un campo di fiori in una ridente mattinata di maggio, una storiella su cui ricamare vicende amorose a lieto fine.
La Shoah è la tragedia e l’orrore che sappiamo, punto. Se qualcuno desidera scriverne, lo deve fare in punta di penna, lo deve fare rispettando la corrispondenza con il reale e non per usarla come sfondo intrigante al servizio di vicenduole accessorie.
Mi torna alla mente il concetto di Torah Lishmàh. La Torah deve essere usata fine a se stessa, non per secondi fini. Ora, mutatis mutandis, e con tutto il rispetto per la Torah, anche la Shoah, senza voler nulla mitizzare o sacralizzare, va usata per la rappresentazione veridica che se ne vuol fare e non depredandone e strumentalizzandone i significati per piegarla ad altri poco nobili fini.
Lia Levi, nel dare alla sua opera lo sfondo della Roma pre-16 ottobre 1943 si muove con il rispetto e la consapevolezza che l’argomento richiede.
Tre storie si dipartono e, con delicatezza, si intrecciano fra di loro per disegnare il quadro della Roma ebraica nell’approssimarsi della tragedia che colpirà la comunità. Ognuno accanto alla sua notte è un romanzo, eppure, per la leggerezza e per la stringatezza della sua fine scrittura e del suo dialogato tradisce la presenza di vita, vicende e figure che nella Roma ebraica hanno vissuto e sofferto. Soprattutto, tradisce la presenza di sentimenti e moti dell’anima che hanno agitato e dilaniato gli ebrei, romani e non, di fronte agli eventi che hanno preceduto la tragedia.
Lia Levi dà forma compiuta, convinta e convincente, alle incertezze, alle paure, alle angosce, alle speranze che hanno fatto trepidare gli ebrei, nel tentativo di proteggersi, di proteggere i loro cari, di continuare malgrado tutto a vivere.
Non si rende merito a un libro se per recensirlo lo si riassume. Va notato, tuttavia, il coraggio di Ognuno accanto alla sua notte nel rifarsi ad avvenimenti che alla Comunità di Roma provocarono lacerazioni che covano ancor oggi sotto le braci. È il caso del rabbino che si allontana, o viene allontanato, dalla comunità, il rabbino che abbraccia altri credi, attirando su di sé quella condanna al silenzio cui la maggior parte degli ebrei romani si attiene sino ad oggi. Ed è il caso del comportamento delle dirigenze comunitarie che, a Roma e non solo, avrebbero potuto informare le loro comunità e, per sprovvedutezza o per infingardia, per disinteresse o per paura, per eccessiva fiducia o per calcolo, non lo fecero, lasciando che il grosso delle comunità affrontassero impreparate la persecuzione e la caccia all’ebreo. Ci fu chi poté mettersi in salvo, e ci fu chi non ne ebbe né l’occasione né i mezzi e finì ad Auschwitz. Lia Levi tocca con estremo garbo questa piaga purulenta, che nel dopoguerra, pro bono pacis, le comunità scelsero di non affrontare onde non acuire le fratture fra le loro varie componenti sociali.
Ognuno accanto alla sua notte non è un romanzo d’occasione, e non è un romanzo commemorativo fine a se stesso. Lia Levi solleva interrogativi che toccano dall’interno le vicende dell’ebraismo, non solo italiano, e sull’interno si chiude, con la crisi lacerante del rapporto fra i padri e i figli.