Per due settimane sono stato come sotto choc. Non riuscivo a realizzare cosa fosse successo. Immediatamente ho chiamato i miei amici e ogni giorno contavo morti e feriti. È impossibile immaginare l’ esplosione di 2.750 tonnellate di esplosivo. Il 4 agosto scorso, nella città di Beirut, ci fu un’ esplosione mostruosa. Di fronte allo schermo e attaccato al telefono c’era Mathias Énard, vincitore del Premio Goncourt 2015 con il romanzo Boussole, che a Beruit ha vissuto dal 1995 al 2000 insegnando francese. Parlerà di questa città molto amata nell’ intervento dal titolo Oriente e Occidente che terra oggi alle 19 in streaming per Vita Nova del Salone del Libro.
Énard, cosa racconterà di Beirut?
«Del suo essere simbolo del dialogo tra Oriente e Occidente e del suo essere il centro del Mediterraneo, oggi come ieri. L’ esplosione del porto ci ha ricordato che Beirut è anche un porto. Parlerò di come nasce oggi la violenza della guerra e anche degli autori libanesi e palestinesi che hanno vissuto a Beirut. Ci torno spesso».
Lei vive a Barcellona e ha anche aperto un ristorante libanese.
«È stata un’ opportunità che mi è stata offerta da un amico. Amo molto il cibo. Anche quello torinese. Torino, dove sono vissuto diverse volte, mi piace per lo stesso motivo per cui mi è piaciuta Barcellona, perché non è una sola città. Non è mai uguale. È merito anche dei confini con le Alpi, la Francia, la Svizzera. Il cibo è una passione come lo era per Alexandre Dumas: è un viaggio facile, quotidiano, perennemente alla scoperta di qualcosa».
In qualche modo il Covid sembra aver spazzato la prioritaria tensione tra Occidente e Oriente. È così?
«Ha spazzato via tutto. Tutto. La Siria, ad esempio, è come scomparsa. Il Covid ci ha fatto ritornare ai nostri guai europei e rinchiudere tra di noi. Tra italiani, francesi, spagnoli, forse anche tedeschi. Il vero problema di oggi è ritrovare una relazione vera e profonda con la Turchia, la Siria, il Libano e anche Israele, che vediamo come alleato ma in realtà è anche un grande sconosciuto. È questa la sfida di domani».
Qual è, secondo lei, il rapporto attuale e quotidiano tra Oriente e Occidente?
«È un rapporto che già esiste, cambia la forma nel vederlo. Abbiamo tanti collegamenti, tante relazioni, al punto che per noi è veramente difficile parlare di una frontiera reale tra Oriente e Occidente. E questo da duecento o anche trecento anni. C’è molto Oriente adesso in Europa, solo che ce ne accorgiamo unicamente quando accade qualcosa di violento, quando ci sono gli attentati o arrivano i profughi. Nei giorni normali, però, non ci accorgiamo della musica o della letteratura o del cibo, perché per noi è molto normale. Ma è molto profondo».
Cosa l’ha fatta innamorare dell’Oriente?
«La poesia. Ho amato tantissimo la poesia arabo-siciliana del medioevo, sono autori che non si leggono mai, che sono quasi dimenticati, ma esistono e ci dimostrano che siamo stati arabi anche in Europa. Amo la poesia e la letteratura classica araba e persiana, per me sono davvero importanti. Lì ci sono cose bellissime».
Com’è la vita di scrittore tra diversi mondi?
«È una vita un po’ pazzesca quella dello scrittore. I alcuni momenti è così solitaria e a me piace stare lì e scrivere da solo. Ma amo anche uscire e approfittare delle tante occasioni di dialogo, con i giornalisti o con i lettori ai festival dove è sempre interessante parlare. È una buona idea questo salone online, perché non è la stessa cosa ma è qualcosa. E i libri devono vivere perché tra i libri circolano le persone, le idee, la democrazia, la libertà, i viaggi, il piacere. È importante».