«La caduta del sole di ferro» è il primo volume di una nuova tetralogia di Michel Bussi: dopo una catastrofe ambientale, a Parigi vivono solo due gruppi di ragazzi che si fronteggiano con due visioni del mondo molto diverse. Il corrispondente del Corriere della Sera dalla capitale francese ha intervistato lo scrittore per Pianeta 2021
I dodicenni regnano sul nuovo mondo. Una nube tossica ha eliminato gli adulti, sono sopravvissuti solo i bambini che al suo passaggio si trovavano nel ventre delle madri. In una Parigi post-apocalittica, l’umanità risorge grazie ai ragazzini divisi in due tribù: quella del “tepee”, una Tour Eiffel tappezzata di pelli come una tenda indiana, e quella del “castello”, ovvero il Louvre. I ragazzi del tepee vivono a contatto con la natura pescando nella Senna e cacciando nel Bois de Boulogne, quelli del castello si sono riorganizzati studiando e dando vita a un nuovo progresso. Questo è lo scenario immaginato da Michel Bussi, l’autore francese di bestseller che ha immaginato una saga per ragazzi in quattro volumi - il primo è La caduta del sole di ferro edito in Italia da e/o - per parlare del rapporto tra l’uomo e l’ambiente. «Ma non è un romanzo apocalittico, la catastrofe c’è ma è solo la premessa. Mi piaceva immaginare le possibili strade di una rinascita, con un certo ottimismo», dice Bussi in collegamento video con il Corriere.
Il giallista oggi più venduto in Francia ha scritto un romanzo distopico in una Parigi post-apocalittica in cui i ragazzi devono ricostruire il mondo: «Per loro ci sarà un prima e un dopo Covid: ma sento soprattutto la voglia di ricominciare. E l’ecologia non è niente senza il rispetto del prossimo».
Perché quest’idea del mondo affidato agli adolescenti?
«Diciamo che per noi è troppo tardi, non rinunceremo mai a certe cose. Mi piaceva immaginare che cosa farebbero i ragazzini se toccasse a loro ricostruire la società. Conoscono gli errori del passato, ma a che cosa sarebbero capaci di rinunciare? Potrebbero essere combattuti tra il desiderio di natura, di piacere, di relazione con l’ambiente, e quello di conoscenza. Noi abbiamo scelto la seconda strada, la conoscenza e il progresso, ma loro? Che cosa conserverebbero dei consigli degli adulti, e quanto invece sarebbero autonomi rispetto alla strada già tracciata?».
Così si struttura il dualismo tra ragazzi del tepee, della Tour Eiffel, e ragazzi del castello, il Louvre.
«Nel primo libro della saga ho immaginato questa contrapposizione, perché trovo interessante tornare sulla nozione di progresso, che nel nostro mondo ha vinto e che è stato imposto un po’ a tutti, anche a civiltà che non lo avevano chiesto. Mi piaceva immaginare che strada prenderebbe un nuovo progresso se ad accompagnarlo fossero dei ragazzini consapevoli degli errori del passato».
Una favola ecologica?
«Sì, ma l’ecologia non è nulla senza la conoscenza dell’altro, la tolleranza del prossimo. Oggi c’è una relazione abbastanza ipocrita con i nativi americani per esempio, o con altri popoli nativi. Nessuno sarebbe capace di tornare indietro e vivere come lo si faceva in quelle civiltà, ma resta il dubbio che magari avevano ragione loro, quella era la strada giusta, perché in fondo non sono certo loro ad avere distrutto il Pianeta. C’è una ambivalenza nei confronti del progresso che mi pare interessante indagare. Nel libro per esempio i ragazzini non usano quasi mai smartphone o iPad, o meglio questi sono solo uno strumento di studio e di lavoro. Gli schermi sono associati alla scuola».
Un po’ come è accaduto durante il lockdown.
«È così, iPad e computer sono diventati strumenti di studio, come forse dovrebbero essere sempre. Non penso che l’essere umano sia fatto per stare davanti a uno schermo giorno e notte, e in particolare quando si hanno dieci o quindici anni».
Lei era più un ragazzo del tepee o del castello? Attratto più dalla natura o dalla conoscenza?
«Ero combattuto tra le due sfere, mi piaceva leggere ed ero interessato alla storia e alla scienza. Ero molto curioso e avevo una visione positiva del progresso, delle scoperte… Ma avevo anche un lato attratto dall’avventura all’aria aperta, adoravo andare nel bosco con i miei amici. Facevo parte di una generazione in cui la tecnologia e gli aspetti virtuali erano molto meno presenti. Se fossi un bambino oggi starei sempre su internet a fare continue scoperte. Sarei forse un ragazzo del tepee, ma affascinato dal castello».
L’idea di dare agli adolescenti il potere di rifare il mondo è legata alla figura di Greta Thunberg?
«No, ci pensavo già quando avevo vent’anni, ovvero trent’anni fa. L’idea mi è venuta piuttosto dal romanzo Il signore delle mosche di William Golding, che racconta di un gruppo di ragazzi di un collegio inglese che finiscono in un’isola disabitata e devono autogovernarsi. Nel mio romanzo c’è il tema dell’ecologia ma anche quello dell’essere cittadini, animali sociali, il bisogno dell’uomo di organizzarsi. Come nel libro di Golding, dove si assiste al contrasto tra i ragazzi che vogliono consumare tutte le risorse subito e altri che invece cercano di essere più responsabili e vogliono razionare il cibo e l’acqua. Siamo attraversati dalle esigenze opposte dell’edonismo e della responsabilità. È complicato, e ancora di più per un ragazzino. Anche se i bambini possono essere migliori degli adulti, hanno un senso morale più forte».
A che cosa rinuncerebbe a fatica, lei?
«Ai viaggi in aereo. Se mi dicessero che bisogna abolirli per salvare il pianeta sarebbe molto duro per me».
Quando ha scritto il libro? Prima della pandemia?
«Sì, molto prima. È vero che oggi con la pandemia e la rinnovata sensibilità ambientalista questa storia è di particolare attualità, ma ho scritto il romanzo prima che si cominciasse a parlare di coronavirus. È un libro ottimista, che parla della rinascita più che del cataclisma, l’atmosfera non è certo alla Mad Max».
Come valuta questi mesi di emergenza sanitaria?
«Accanto alla situazioni drammatiche, noto che molti cercano di trarre insegnamenti positivi, di immaginare un nuovo sviluppo. La pandemia può essere vissuta come un momento zero per ripartire su nuove basi. Per le nuove generazioni ci sarà un prima e un dopo, ma più che l’apocalisse sento lo sguardo verso il futuro, la voglia di ricominciare, magari senza ripetere per forza gli stessi sbagli».
È ottimista quanto alle possibilità di un cambiamento della società?
«Intanto, questa epidemia ha dimostrato che per il bene comune le persone sono in grado di accettare molti obblighi, oltre quello che avremmo potuto immaginare. Se i cittadini accettano di restare a casa settimane e settimane pur di salvare migliaia di anziani, allora forse potranno accettare altre limitazioni per salvare il pianeta e dare un futuro ai loro figli e nipoti. La gente è pronta a sopportare molto più di quanto avremmo potuto pensare, a condizione che sia per una causa giusta. Con qualche reticenza e opposizione certo, ma abbiamo dimostrato di poter sopportare molte frustrazioni. Abbiamo imparato che per un periodo limitato e per il bene comune possiamo persino rinunciare a una parte della libertà».
Sulla copertina del suo libro c’è una Tour Eiffel “verde”, il presidente Emmanuel Macron fa della lotta al cambiamento climatico una delle sue priorità, gli Stati Uniti del dopo-Trump vogliono tornare agli accordi di Parigi. Possiamo allora vedere nella Francia il Paese simbolo della battaglia per l’ambiente?
«Nel mio libro ho usato Parigi come simbolo della città perché è nota in tutto il mondo, ma sul piano più politico è vero che Parigi è associata anche alla rivoluzione, a una visione umanista, e potremmo immaginare che un presidente ecologista venga eletto in Francia, alle prossime elezioni del 2022 o a quelle successive. L’ecologia oggi è il punto di congiunzione delle varie anime della sinistra. Dopo le ultime elezioni municipali molte città in Francia hanno un sindaco ecologista. Oltre a Parigi Bordeaux, Lione, Grenoble, per esempio. L’ecologia è arrivata al potere grazie alle alleanze politiche, ma con un programma esclusivamente urbano: trasporti elettrici, piste ciclabili… Misure leggere, e tutto sommato rassicuranti per tutti. Non si parla di un nuovo modello economico. Gli ecologisti possono pure arrivare al potere ma poi bisogna vedere fino a che punto saranno in grado di spingersi. Vedremo sa Parigi sarà il modello di un’ecologia urbana moderata, o il centro di una vera rivoluzione verde. Credo che con l’aggravarsi del cambiamento climatico le posizioni ambientaliste potrebbero diventare più radicali, ci saranno diverse anime del movimento in contrapposizione e sarà interessante vedere quale finirà per imporsi».