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Perché questo è il brutto dell’amore di Nicole Müller

Testata: Cronache letterarie
Data: 7 dicembre 2020
URL: https://www.cronacheletterarie.com/2020/12/07/perche-questo-e-il-brutto-dellamore-di-nicole-muller/

In una tensione originalissima fra Barthes e i nuovi media, il libretto agile e folgorante di Nicole Müller, fatto di frammenti sull’onda dei ricordi.

Sulla scorta di una poetica che fa del frammento una forma narrativa eloquente, Nicole Müller racconta la “banalità” della passione, il comune – terribile – senso di abbandono, l’urgenza di ricomporre una frattura insanabile. Il titolo è programmatico, ed esplicita una condizione finemente scandagliata.

Perché questo è il brutto dell’amore (edizioni e/o, 1993) si presta infatti a una duplice interpretazione, riassumendo ora il dramma della fine ora il doloroso, posteriore, recupero della memoria. La storia di N. e V. è tutta giocata, non a caso, sull’evanescenza del flashback. Non c’è un filo logico, il ricordo procede da sé, la vita – anche nel post-trauma – è improntata a una casualità programmatica, a quella «simultaneità dei sogni» che alimenta i ricordi. L’autrice e io narrante, compenetrata – per sua stessa ammissione – nel ruolo di amante tout court, presenta la vicenda come uno sbocco dell’anima: «La storia è vera per quanto può essere vera una storia raccontata da una persona sola», dunque il groviglio di dati e fatti è costantemente sottoposto al filtro dell’anamnesi, a una voce interiore che tesse i fili dell’emozione.

V. e N. si sono amate, hanno mischiato pensieri e corpi nell’arco di quattro anni. È questo intervallo il nerbo della loro esistenza, un deragliamento finalizzato alla scoperta dell’altro. Müller lo ripercorre in capitoletti, 498 passi sovente desunti dalla corrispondenza reale, quasi a creare un collage di sentimenti a senso unico.

Nella parola – nell’atto pratico di “fissarla” – si compie un percorso di comprensione e compensazione: «Scrivo per non morire, che questo sia chiaro a tutti», tanto più che V. non sa parlare, è già legata a un silenzio destinato a esplodere, laddove N. chiede certezze e lei, di contro, offre solo «pazienza». L’operazione di Müller ha un intento catartico eppure, al contempo, restituisce un’ansia di soffocamento, incrinata soltanto da brevi scarichi di coscienza. È il tentativo di raccontare l’eutanasia di un amore, di consegnare al “diario” la sovrapproduzione di gesti, parole, sguardi.

Risiede qui, più che nel solo impianto, quella tensione originalissima fra Barthes e i nuovi media. Figlia di una generazione influenzata dal cinema, stretta – per abitudine e attrazione – tra i linguaggi della televisione, Müller concepisce l’opera come un mosaico di immagini, diffrangendo la forma romanzo mediante un procedimento di auto-sabotaggio, consistente in ripensamenti e omissioni, negazioni di senso e smentita di sé. Ogni frammento, numerato progressivamente, è un viaggio al termine della separazione, approcciata con sguardo volto – ora sì – alla codificazione più classica, secondo la quale ogni amore è passione, dolore, un’abrasione quasi fisica.

Nicole, nel testo, si nomina di rado, il rapporto con Veronique è piuttosto una storia di pronomi: “lei”, “io”, a volte “noi”, spesso – soprattutto – “lui”. René, «suo marito. Un essere alquanto indecifrabile», è la linea di demarcazione fra l’eccezione e la norma, il punto entro cui convogliare ogni sorta di esitazione. Debole, remissivo, eternamente sottotono, ottiene la sua “vittoria” grazie al ruolo sociale: è marito, padre, un amore come si deve. V. lo ri-accoglie – lo cerca – dieci giorni prima della sentenza di divorzio, quando per N. comincia il calvario, l’impossibilità di vivere senza e, al contempo, vivere con.

“Ciò che ci viene rubato quando veniamo lasciati, è sempre il futuro”.

Perché questo è il brutto dell'amore. Nicole MüllerNon è un caso che quest’amore bruci i limiti della misura, nel rapporto donna-donna Müller individua l’assoluto, il compimento di un percorso in cui il “per sempre” è l’unica meta, dove nel corpo – in quel corpo – nasce l’urgenza di un sentimento comune. «Questa è la donna con cui passerò la mia vita», e il concetto ritorna, si amplia, fa incancrenire la piaga. A una passione siffatta non può che seguire un vuoto totale («ciò che ci viene rubato quando veniamo lasciati, è sempre il futuro»), il tentativo – per quanto arduo – di mettere assieme i pezzi.

È la memoria, in questo senso, il veicolo di riappropriazione. Il filo che salda insieme i ricordi – sollecitati, sovente, dalla vista e l’udito – corrisponde al tentativo di comprendere la realtà, di afferrare, con sguardo sbieco, le trasformazioni dell’io. Solo così può cogliersi il senso di quell’amore incondizionato, di un destino ordinario eppure eccezionale: «Questo è il documento di un fallimento. Solo che non me ne rammarico. Perché nel fallimento risiede anche una buona dose di successo. […] ‘Tout est à venir’. Ora sto meglio. Molte grazie».

Purtroppo il testo è ormai fuori commercio. È difficile trovarlo, tuttavia resta indimenticabile. Penso sia un peccato che l’editore e/o non abbia ancora pensato a una ristampa, ma parlarne può invogliare il lettore a saperne di più. È vero, con le biblioteche chiuse è mancato un presidio fondamentale, però il nuovo Dpcm ne ha disposto la riapertura per il prestito e la consegna! E ingegnandosi un po’ è anche possibile acquistare il libro su Ebay, Maremagnum, Amazon e altre piattaforme.