Il libro di Matt Haig Vita su un pianeta nervoso per esplorare l’omologazione come risposta alla paura della solitudine
Con tutte le negatività che ci appiccica ai cuori e alle menti una modernità-Moloch tutta ancora da domare, come amaramente sottolinea Matt Haig nel suo Vita su un pianeta nervoso (Edizioni e/o) dove il grande tema è che per non soffrire la solitudine, insomma, e per non essere mal considerati, l’omologazione è vissuta come sopravvivenza. Il cronometro totalizzante delle abitudini, delle etichette, delle inclinazioni in cui tutti si ritrovano è visto come una coreografia globalizzata, come un grande sincronizzatore delle tonalità, delle diversità comportamentali e affettive.
La polis trasformata in un colossale gioco di ruolo, o in un ancora più inquietante Risiko, grazie alla piccola efficace stregoneria di una censura preventiva: meglio soli che mal accompagnati, ma che vale anche al rovescio con i rintocchi sinistri di una finta socievolezza.
Elogio della gentilezza e rispetto delle proprie ed altrui paure: un patrimonio umano da recuperare
La gentilezza degli atti, la concentrazione della meditazione, il rispetto delle paure di chi ci è vicino, il silenzio, l’accoglienza dei bisogni altrui, la dolcezza e la pazienza nel non accomiatarci dai nodi inquietanti di coscienze problematiche, sono un patrimonio che, in nome di un pathos arcaico e non di una razionalità ordinatrice, dobbiamo recuperare nella nostra prossimità, nella nostra politica, ci ammonisce Haig, evitando quanto più possibile il carico di una digitalizzazione e ipermediazione coatta delle nostre ore pubbliche e private, scollegandoci talvolta da tutto, perché no?, news, Facebook, spot, notifiche, squilli e click.
Ciò che, allora, tendiamo a rimuovere o a localizzare solo in dualità di tipo sanitario – chi rispetta la “normalità” e chi vi si sottrae – diventa segno di un Logos collettivo che ha otturato, dimenticato, obliterato la fioritura delle lacrime e dei sorrisi, dei volti e degli sguardi, del dolore e delle nostalgie, delle estenuazioni strazianti e dei progetti mancati: unica cifra vitale dove ciascuno perde e ritrova se stesso nella nudità dello stare al mondo, nello slancio protettivo del simile. Il segreto, dice Haig, sta “non nel diventare antisociali, ma nel non aver paura di stare da soli”. L’eremita felice si sposa finalmente al classico bravo cittadino disincantato, e anche un po’ depresso.