Un detto siciliano recita che «anche i gatti dei gesuiti, a forza di sentir parlare in latino, fanno miaus». Nulla di strano, quindi che Murr, amatissimo felino di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, padre della letteratura romantica, ma anche compositore, pittore e giurista, pubblicasse la propria autobiografia con titolo, appunto, Il gatto Murr e sottotitolo «Opinioni e vita del gatto Murr comprensive della biografia frammentaria del maestro di cappella Johannes Kreisler in forma di casuali scartafacci». Gli fa eco l'anonimo felino - in giapponese Neko - di Natsume Soseki di Io sono un gatto, primo romanzo del più grande scrittore del Giappone moderno che, da filosofo scettico, racconta addirittura il processo di cambiamento della sua nazione.
Nel solco di questi illustri precedenti, va a buon diritto collocata l'ultima fatica di Muriel Barbery: I gatti della scrittrice (edizioni e/o, traduzione di Alberto Bracci Testasecca, pagg. 80, euro 14). Dopo il barocco Estasi culinarie, il bestseller L'eleganza del riccio e gli orientali Vita degli elfi e Uno strano paese, l'autrice decide finalmente di dare a Cesare ciò che gli spetta. Meglio, di tributare ai suoi consulenti letterari il giusto riconoscimento, anche economico. Da qui l'idea di un libro per denunciare le condizioni di lavoro dei gatti degli scrittori e farle conoscere al mondo.
Intanto, il volumetto è firmato dalla Barbery, magnificamente illustrato da Maria Guitart, ma e stato scritto da Kirin, la più bella dei quattro gatti certosini della scrittrice. Sono Ocha (in giapponese te), Mizu (sempre nella lingua del Sol Levante, acqua), Petrus (eccelso vino francese, nonché nome di un simpatico personaggio di Vita degli elfi e Uno strano paese) e appunto Kirin (il nome di una birra nipponica).
Chiamarli muse ispiratrici è riduttivo, perché i felini, oltre ad essere grigi e con gli occhi arancioni, quindi in perfetta armonia con l'arredamento e le pareti di casa, oltre a subire - come il povero marito musicista, ma senza esserne obbligati dai doveri coniugali - le periodiche sfuriate dell'artista, quando è scontenta di come ha lavorato quel giorno, svolgono una ben coordinata azione di supporto, collaborazione e revisione dei testi. Cosicché si può con sicurezza affermare che, senza i gatti, i libri di Muriel non sarebbero gli stessi. Inoltre, questi gatti, tutti imparentati fra loro, hanno ciascuno la propria nevrosi, di sicuro, prima generata e poi consolidata nel prolungato contatto con l'umana di riferimento. Un divanetto atto a contenere la scrittrice e due felini è stato scientemente collocato in prossimità della scrivania (che non si cerchino alibi, quando ci sarà il giudizio universale...). Un terzo felino si posiziona accanto alla mano libera della donna e la quarta la guarda negli occhi dal tavolo da lavoro. I magnifici quattro combattono e sconfiggono i malanni ben noti a tutti gli scrittori: agitazione, dubbio, negazione dell'errore.
Cosi, la notte, i gatti della scrittrice agiscono criticamente, evidenziando i brani non riusciti, svolgendo l'indispensabile lavoro di revisione critica che accompagna ogni testo da pubblicare. Essi non sono solo consulenti letterari e totem protettori, sono i bastioni, uno scudo, «vettore di bellezza che attraversa un mondo imperfetto lasciando nella sua scia un profumo di perfezione».
Grazie alla poesia intrinseca nella loro essenza felina i gatti sono l'incanto vitale che si oppone alla notte. Meritano «diritti d'autore, con tanto di contratto, percentuali stabilite, cassa malattie e coordinate bancarie, con i nomi prima della dicitura "i sopracitati consulenti letterari" e le firme». E chi si oppone, che peste felina lo colga!