Sapere chi ciascuno di noi sia è molto complicato, anche (o forse soprattutto) per noi stessi. In primo luogo perchè per scoprirlo è necessaria un’abbondante dose di onestà intellettuale già solo per porsi una domanda gigantesca: chi sono io? Chiederselo, poi, è solo il primo passo, perchè dopo bisogna anche rispondersi. Pensare a chi o ciò che si è, e trovare parole che possano esprimere il concetto, sono solo l’inizio. Poi serve il coraggio di ascoltare la propria risposta e credersi, anche quando il risultato a cui si giunge è molto lontano da quello percepito dagli occhi altrui. Buona parte de Le nevi dell’esilio ruota intorno a a questa spaventosa domande e alle risposte altrettanto terrorizzanti a cui vanno incontro Takeo e Kaede.
Così come ne Il canto dell’usignolo erano state le circostanze e le trame politiche a portare i due giovani a conoscersi e ad amarsi, sono ancora interessi superiori ad allontanarli poco dopo aver conosciuto l’amore. La morte del nobile Iida, somministrata da Kaede, ma attribuita a Takeo per vox populi, ha ridisegnato il panorama di alleanze e complotti in cui il fittizio Giappone feudale tratteggiato da Lian Hearn è immerso. Mentre la fedeltà di Takeo è stata reclamata dalla Tribù, Kaede deve fare ritorno alla casa natale per reclamare l’eredità a lei destinata dalla nobile Maruyama e scoprire in quanti siano davvero disposti ad accettare il dominio di una donna.
La vita ci cambia, ogni singolo giorno, e gli eventi di cui Takeo e Kaede sono stati testimoni hanno accelerato un processo reso indispensabile dai loro nuovi ruoli, speculari rispetto al volume precedente. Da ostaggio e pedina di una guerra di potere a cui era estranea, Kaede è tornata ora a essere padrona del suo destino e protagonista del riassetto politico che attende il Giappone. Suo padre è ormai anziano e fortemente avverso ad Arai, l’uomo che ha salvato la vita a Kaede e che si appresta a dominare le Tre Terre. Presto dunque il potere di Kaede si estenderà su terre che faranno gola a molti, ma prima il suo dominio deve essere legittimato in una società che in quanto donna la considera al massimo un affascinante oggetto da collezione, proprio come il nobile Fujiwara, che vorrebbe legarla in matrimonio per aggiungerla alle già molte rarità in suo possesso.
“E cosa vi aspettavate” disse Shizuka. “Sono gli uomini a scrivere la storia, i testi sacri, persino le poesie. Non potete cambiare il mondo. Dovete solo imparare a muovervi all’interno delle sue regole”.
In una società maschile, in cui persino la scrittura ufficiale è appannaggio degli uomini, Kaede deve assumere caratteristiche maschili per essere riconosciuta e dunque obbedita. Lo farà sfruttando la fascinazione evidente di Fujiwara, pretendente ma anche maestro, e facendo ricorso a una durezza d’animo indispensabile per guidare i guerrieri del feudo. Destino bizzarro: per diventare ciò che si vuole essere, spesso bisogna rassegnarsi a perdere ciò che si è e ciò che si porta dentro. Solo nel finale di volume Kaede abdicherà alle decisioni frutto di necessità per rivendicare una propria volontà istintiva, ancorché coltivata nell’assenza, per reimpossessarsi del proprio destino, un gesto compiuto senza ricorrere al consenso dei signori a cui deve obbedienza e che rischia di essere percepito e interpretato come una sfida.
Opposto invece è il percorso di Takeo, da nobile erede a ostaggio della Tribù, che ne reclama i servigi e i talenti per appartenenza di sangue. La capacità di adattamento offerta da Takeo è simile per portata, ma opposta per direzione rispetto a quella di Kaede. Se la ragazza è disposta a imparare a essere un uomo con l’intenzione di rinnegare questa imposizione e sovvertire le regole appena possibile, Takeo impara ad essere un membro della Tribù per quieto vivere, perchè questo è ciò che ha accettato di essere, lo ha promesso, e non ci si oppone alle imposizioni. La sua riluttanza a rompere un patto, benché questo lo vincoli a un’esistenza che va contro ad ogni suo credo, è chiara fin dalle prime pagine, quando grazie ai suoi poteri potrebbe facilmente abbandonare il luogo in cui è costudito, eppure sceglie liberamente di farvi ritorno.
Ciò non significa che non ci sia un una lotta costante dentro Takeo, i cui valori mutuati sia dalla famiglia di sangue che da quella adottiva del nobile Shigeru lottano sottopelle con la sua nuova fedeltà, ma che il suo sia un approccio diverso rispetto allo stoicismo di Kaede si capisce dalla facilità con cui il dissidio interiore venga domato attraverso le attenzioni fisiche di Yuki, carceriera e poi compagna, e del monaco Makoto. Come si diceva nell’incipit, il gesto più coraggioso che si possa fare è quello di ascoltarsi: la natura di Takeo è triplice (occulto, Otori e membro della Tribù) e lo stridore tra il sistema di valori che queste tre identità richiedono è così acuto da spingere il giovane protagonista a tacerli del tutto per procedere affidandosi a un pilota automatico, fino al momento in cui le circostanze non lo costringeranno a mettere le sue identità una contro l’altra e infine trovare una risposta definitiva che guidi il suo agire.
Appena levò le mani su di me, capii che non sarei stato smascherato perchè nessun saltimbanco avrebbe mai osato picchiare un guerriero Otori. Più di ogni altro gesto o discorso, quel ceffone dimostrava che ero Minoru, un semplice giocoliere.
Come spesso avviene per il volume centrale di un’epopea, Le nevi dell’esilio è un capitolo di transizione nell’economia globale della Saga degli Otori. Rispetto alla densità di eventi del precedente, qui si ha un po’ la sensazione di immobilismo, di una situazione di stallo con cui i personaggi sono costretti a convivere osservando i mutamenti interni più di quelli esterni, fino alla svolta di fine volume che prevedibilmente spianerà la strada agli eventi del terzo e conclusivo capitolo in arrivo a breve. Sotto Le nevi dell’esilio matura tuttavia un’attesa ineluttabile, che costringe ad affrontare le risposte alla domanda iniziale che produce sempre, come ripercussione, un moto verso una nuova versione di se stessi, per sua natura nuovamente imperscrutabile.
Il cambiamento, tuttavia, scorre anche tra le pagine del libro e Kaede con un incedere lento, ma inesorabile, si conquista pagina dopo pagina un ruolo sempre più centrale, sottraendo a Takeo il cono di luce destinato al protagonista. D’altra parte è inevitabile quando dei due personaggi uno è artefice del proprio destino mentre l’altro si lascia guidare dagli eventi, reagendo solo nel caso in cui sia costretto a farlo. Non credo sia casuale che questa differenza emerga proprio nel contesto di un volume così focalizzato sui concetti di identità e ruoli come Le nevi dell’esilio, le cui vicende esplicitano nella maniera più chiara possibile come la famosa “maturità precoce” delle donne non sia una qualche caratteristica intrinseca riservata dalla Natura al genere femminile, ma una necessità, una forma di adattamento a una pretesa sociale che non fa sconti alla donna fin dall’adolescenza, mentre al maschio concede una leggerezza di pensieri e azioni le cui conseguenze mostreranno effetti anche in età ben più avanzata.