Com’è noto, scrivere è un’occupazione solitaria che si svolge meglio in compagnia di un gatto. Certo, in realtà tutte le attività umane hanno più senso sotto l’egida baffuta, ma per nessuna come la letteratura essa è indispensabile. Si scrive con i gatti, in certi casi intorno ai gatti (sulle lettere di Carlo XII di Svezia - sì, quello biografato da Voltaire - si nota un curioso contorno gattesco: il Sovrano non voleva disturbare il real felino stravaccato sul foglio e quindi gli scriveva tutto attorno) e in altri ancora per i gatti, nel senso che non c'è modo migliore di spendere i diritti d’autore che in croccantini, giochini, scatolette di salmone norvegese bio ma, mi raccomando, soltanto del secondo fiordo a destra e, Dio non voglia, visite veterinarie. La storia della letteratura è piena non solo di libri sui gatti, ma anche di libri di gatti, di cui il felino di casa è a tutti gli effetti il coautore: da La Nature chez elle et ménagerie intime di Théophile Gautier a Io sono il gatto di Natsume Soseki. Quando Gore Vidal scrisse le sue memorie intitolate Palinsesto, scelse come immagine di copertina una sua foto con un gatto in spalla. E scrisse: «A Ravello mi sono messo all’opera per scrivere questo libro con l’aiuto di questo gatto bianco», il che è anche una discreta presunzione perché il gatto non aiuta, semmai si fa aiutare.
Adesso alla lunga schiera di scrittori gattolici si aggiunge Muriel Barbery, quella dell’Eleganza del riccio (ma se il riccio è elegante, il gatto è quantomeno Beau Brummel), con uno svelto librino deliziosamente illustrato da Maria Guitart, insomma poche parole e molti disegni. Come Soseki, anche Barbery cede la penna al gatto, anzi a uno dei quattro certosini che vivono con lei: Ocha, Mizu, Petrus e, appunto, l’autrice Kirin, ragatta di singolare bellezza e scrittura impeccabile. Entriamo così nell'intimità della scrittrice, nella sua bottega letteraria, raccontata però dal gatto, dal basso dal punto di vista della statura ma dall’alto per quel che riguarda l’intelligenza, dato che, parafrasando Taine, la saggezza del gatto è superiore a quella del più profondo dei filosofi.
Si apprende così che sono loro, la banda dei quattro, il poker dei baffuti, gli evangelisti del miao, a vegliare sulla produzione della Barbery, a darle l’ispirazione, a correggerne gli errori, a tenerla su quando dubita e buttarla giù quando si illude. Fino a ricorrere a mezzi estremi: poiché «certe volte lo scrittore ha necessità di convincersi che il suo testo stia in piedi quando in realtà è barcollante», allora si incarica Mizu di «sganciare un peto sulle righe incriminate»: e tanto basta perché venga scartato. Quanto a severità di giudizio, ai gatti la Reale Accademia di Svezia, è il caso di dirlo, gli fa un baffo, e del resto si sa che l’approvazione silenziosa ma meditata del nostro gatto è il vero Nobel che tentiamo tutti i giorni di vincere.
Siamo pur sempre in Francia, però, un Paese ossessionato dall’«argent», specie quello degli altri. E così a un certo punto, stanchi di lavorare gratis per Barbery, gli editor a quattro zampe avanzano concretissime rivendicazioni sindacali e salariali, una parte dei diritti d’autrice, «con tanto di contratto, percentuali stabilite, cassa malattie e coordinate bancarie», scrive Kirin.
Un welfare cat che appare molto più che una pur legittima richiesta economica. Semmai, una sacrosanta questione di principio, «il fatto simbolico, il riconoscimento del popolo dell'ombra, la luce puntata sugli invisibili che rendono migliore il mondo»: aux armes, citoyens-chats, «in nome di tutti coloro che offrono all’universo la poesia candida di un baffo amico» (però qui si potrebbe obiettare alle autrici - l’umana e la micia - che di solito chi pubblica un libro ammette che senza i suoi gatti non l’avrebbe mai finito: ma i ringraziamenti appunto a questo servono). I fan della Barbery saranno estasiati dai dettagli sul suo ménage, sui suoi usi e costumi domestici, sull’ossessione maniacale per l’ordine, sulla routine della scrittura e così via. Noi, gattolici credenti e praticanti, dalla sua giusta devozione alle divinità pelose.
Non pensiamo certo da oggi che un mondo governato dai gatti sarebbe migliore, e che l’unico animale di cui non si rimpiangerebbe l’estinzione è l’uomo. Anzi, la si auspica per lasciare finalmente campo libero ai gatti. È un vasto programma, ovvio (anche se dallo stato attuale del pianeta pare che i bipedi ci si stiano parecchio impegnando), e la marcia verso il Cat Power globale sarà ancora lunga. Che almeno, intanto, i mici si impossessino della letteratura, dopo aver fatto dei letterati, da secoli, i loro schiavi felici.