Vive da una ventina d'anni nella stessa casa, periferia operaia di Rouen, in Normandia. Eppure Michel Bussi, cinquantacinque anni, giallista francese di successo, ha venduto più di otto milioni di libri in tutto il mondo. Nessuna voglia di comprarsi un attico a Parigi? Ridacchia lo scrittore, di passaggio nella capitale, per presentare il suo nuovo romanzo, N.E.O. La caduta del sole di ferro. E sembra quasi giustificarsi «Avevo già una casa confortevole prima di diventare famoso: perché lasciarla?» Diciamo che, appunto, dall'alto dei milioni di copie vendute, Michel ormai può permettersi quello che vuole. E stiamo parlando da un punto di vista letterario. L'ultimo romanzo, pubblicato in Italia da e/o, è il primo di una saga per adolescenti.
Una novità assoluta, una sfida per lei. Di cosa si tratta?
«È una distopia, un'avventura immaginaria in una Parigi futuristica, dove gli adulti non ci sono più, spazzati via da un cataclisma. Sono sopravvissuti solo i loro figli, che in questo primo tomo hanno dodici anni. Si dividono in due tribù: la prima vive in sintonia con la natura e allo stato selvaggio, abitano sulla torre Eiffel, trasformata in un gigantesco tepee. Gli altri si trovano reclusi nel «castello», che è il Louvre, dove hanno accesso ai codici della cultura del passato e al patrimonio artistico. I due gruppi, prima separati, cominceranno a interagire, dando luogo a una trama fatta da colpi di scena e storie di amicizia, di vendetta, di tradimento, di potere».
È vero, c'è molta amicizia...
«Perché questi ragazzi hanno tutti dodici anni, che è l'età dell'amicizia. Ho concepito il romanzo come se mi fossi ritrovato nel cortile di una scuola media, dove si creano legami incrollabili tra maschi o fra femmine. E nascono pure certe gelosie, vendette incrociate e alla fine sbocciano le riconciliazioni, che sono una parte importante dell'adolescenza. Comunque N.E.O alla fine comprenderà quattro volumi. E i miei ragazzi cresceranno. Sto scrivendo il terzo».
Il primo tomo è già un romanzo corale, con tanti personaggi. Ne vuole citare due in particolare?
«Ci sono due eroi, Alixe e Zyzo, che sono i miei Romeo e Giulietta. Lei appartiene alla tribù del castello, lui al tepee: cercheranno di riconciliare le due tribù».
Entrambi non sono eroi perfetti...
«È vero. Zyzo è una spia suo malgrado, inviato a scrutare la tribù avversa. Lo caratterizza una forte curiosità. Vuole vedere, capire l'altro mondo: ne è affascinato. Ma non è un eroe classico: non è il più forte, né il più bello. Soprattutto è tollerante: ha il gusto della differenza».
E Alixe?
«È la regina classica dei romanzi per adolescenti. Ma pure lei lo è suo malgrado. Nella comunità del castello il re o la regina è designata dalla comunità. Alixe è una ragazza ordinaria, catapultata in quel ruolo, ma non ne aveva voglia. Sembra lo studente eletto rappresentante di classe senza averlo voluto. Cercherà di non cadere nei tormenti del potere: vuole conservare una certa innocenza».
Nei suoi romanzi ricorre spesso la separazione di un piccolo da un genitore. Qui è addirittura generalizzata. Lei ha perso suo padre a dieci anni. C'è un elemento autobiografico in tutto questo?
«Sì, ma è incosciente. Non inserisco volontariamente elementi della mia vita nei romanzi, altrimenti scriverei sempre lo stesso libro. Sang Famille, uscito in Italia sotto il titolo La follia Mazzarino, è quello dove più ho pescato tra i miei ricordi personali: la storia di un adolescente cui viene a mancare la figura del padre. Ma è vero che pure negli altri romanzi spesso ci sono bambini o ragazzi che sono alla ricerca della propria identità o dei genitori. O che portano una sorta di lesione dentro di loro. Probabilmente non ne posso fare a meno».
Lei a dodici anni era più un ragazzo da tribù del tepee o del castello?
«Ero più castello, perché avevo la testa tra i libri. Avevo voglia di leggere e di saperne di più della lista delle capitali europee che si imparava a memoria a scuola. Ma al tempo stesso ero combattuto fra quello e l'idea che la vita vera consistesse nel costruire delle capanne, a giocare nel bosco o semplicemente a pallone. Mi dicevo che forse mi ponevo troppe domande».
»N.E.O., la caduta del sole di ferro« è ambientato in una Parigi vuota e postapocalittica. Fa pensare all'epoca del coronavirus. Lo ha scritto durante il confinamento?
«No, prima. E avevo avuto l'idea di questa storia venti o anche trent'anni prima del lockdown. Non ci sono legami diretti con l'epidemia. Ma è vero che immagino una Parigi vuota come durante il confinamento, dove, ad esempio, gli animali ritornano sugli Champs-Elysees. E nella Parigi del romanzo le persone non si uccidono fra di loro: ognuno resta a casa propria, ancora come nel lockdown. In realtà vivono abbastanza tranquillamente, finché arriverà una nuova catastrofe».
Altro riferimento all'attualità, l'insegnamento a distanza. I ragazzi del castello sono istruiti mediante video, dove appare un'inquietante signora, Maria Luna...
«Gli adolescenti di oggi sono abituati ad apprendere così, a seguire dei tutorial online. È come avere a disposizione in una volta sola migliaia delle enciclopedie che si avevano prima. Ma è un gioco pericoloso, perché ci si ritrova soli di fronte a tutta questa conoscenza: si può essere manipolati. Il romanzo parla anche di questo. Gli adolescenti, che ne sono i protagonisti, si ritrovano ad avere credenze diverse e nessun adulto potrà aiutarli a distinguere il vero dal falso».
Questo libro è destinato a un pubblico «young adult». Ma sia sincero: lei spera pure di attirare i lettori adulti che finora hanno apprezzato i suoi gialli...
«È vero, lo ammetto. È un romanzo d'avventura, d'azione, di suspence. Ma porta anche una riflessione sull'ecologia, sullo spirito civico, sul vivere insieme. Credo che i ragazzi accoglieranno la storia d'istinto, con le sue emozioni e le rivolte. Spero che gli adulti ci vedano l'idea che non esistono il bene e il male e che ognuno vive in funzione delle proprie credenze. Anche perché fra le due tribù, gli istruiti e i selvaggi, io non prendo posizione. Non ci sono i buoni e i cattivi».
Lei è diventato famoso ai quarant'anni e passa. Nella sua vita precedente è stato docente di geografia, specializzato in quella elettorale, all'università di Rouen. Ha preso l'aspettativa nel settembre 2016 per dedicarsi alla letteratura a tempo pieno. Ma questa passione per la geografia emerge sempre e comunque. Anche in questo libro, le descrizioni di Parigi sono molto dettagliate...
«Ho camminato tanto per la città, con la mia penna e il taccuino. Sul provinciale che sono Parigi esercitava già un fascino quando ero un ragazzino. Rappresentava la grande città dove si andava in gita scolastica, per scoprire la torre Eiffel, il Louvre, Notre-Dame. Proprio perché non sono parigino, per me tutto è magico a Parigi».
In queste peregrinazioni metropolitane ha fatto qualche scoperta?
«Per il romanzo ho voluto scegliere luoghi emblematici come il Louvre, Montmartre, la torre Eiffel, Notre-Dame. E altri meno conosciuti. Spero che i lettori abbiano la curiosità di visitarli. Ad esempio, L'Ile aux Cygnes (l'isola dei Cigni), che è un'isola artificiale nella Senna, non lontana dalla torre Eiffel. Lì vanno i ragazzi della tribù del tepee. Ecco, neanche i veri parigini la conoscono. Ma quando ti ci ritrovi dentro è sorprendente. Oppure la Trés grande bibliothèque, la Biblioteca nazionale di Francia, inaugurata nel 1995 da François Mitterrand. Anche quel palazzo moderno compare nel libro: i turisti stranieri credo lo conoscano ancora poco. È spettacolare, composto di quattro grandi torri, come quattro libri aperti. Ma ne ho tanti altri di luoghi che voglio utilizzare. In tutto sono quattro i volumi della saga. C'è ancora tempo e spazio».