Non è mai troppo tardi per esordire, così l'architetta Patrizia De Luca inventa Tettagna (e/o, pagine 160, euro 16) alla soglia dei cinquant'anni. Sotto la collina di Tettagna c'è Tettiano, un luogo misterioso che nasconde un segreto. Le sue abitanti infatti sono in grado di stregare gli uomini: chiunque veda il seno di una tettianese se ne innamorerà perdutamente e se lei smetterà di amarlo quello morirà. Preservare il segreto, ignorare i sensi di colpa, perpetuare una linea di discendenza unicamente femminile. La De Luca mette in scena una società matriarcale spinta all'eccesso, che appare tristemente speculare a modelli maschilisti consolidati. Un libro curioso, amaramente ironico, su figlie che non vogliono assomigliare alle madri, su madri che vorrebbero (ri)vivere attraverso le figlie.
Tettiano assomiglia alla sua natia Cicciano, Patrizia?
«Crescere in campagna ti permette di assistere al miracolo della natura prima dell'esperimento con ovatta e fagiolo che fai all'asilo».
Ci racconti il suo paese.
«Dopo il terremoto del 1980 anche Cicciano fu stravolta. Edifici a due/tre piani, palazzine e villini. La trasformazione urbanistica coincise con un graduale abbandono dell'attività agricola e la nascita della Terra dei fuochi. lo vengo da questo posto».
Ed arriva a questo esordio da scrittrice per la casa editrice di Elena Ferrante.
«Così posso rendere nota alla gran parte delle persone che conosco, colleghi, amici e familiari inclusi, quella che fino ad ora è stata una segreta e parallela esistenza: quella della scrittura».
Da ragazza voleva fare la scrittrice?
«Non ho mai osato pensare alla scrittura come ad un possibile lavoro. Il mio unico obiettivo è stato essere indipendente, da bambina imparare a leggere è stata la prima conquista di libertà».
Perché ha scritto «Tettagna»?
«Tettagna racconta una vita fatta di sacrifici, stenti, talvolta di violenza, ma anche di grande serierà, tutte sensazioni che ho assorbito tra i vicoli di Cicciano».
Tettiano quindi riprende i luoghi della sua infanzia?
«Ha tratti che lo fanno assomigliare a Cicciano e ai comuni limitrofi, anche se i treni della Circumvesuviana non ci arrivano. La zona dove si festeggiano i matrimoni tettianesi ricorda Roccarainola, i braccianti che incontriamo nella storia arrivano da Camposano, Cimitile e Comiziano. L'ampiezza del campo dove montano le giostre a me ricorda piazza D'Armi a Nola».
E la magia delle tettianesi è figlia del potere delle streghe di Benevento?
«Benevento è a pochi minuti di "volo su scopa" dalla zona in cui sono cresciuta, uno scambio di erbe segrete tra "janare" dove esserci stato. A dire il vero scrivendo Tettagna non ho pensato alla magia e alle streghe, ma a tutte quelle mancate scienziate, passate alla storia come streghe, che in realtà erano le antenate delle attuali botaniche, biologhe, agronome. A Tettagna la realtà del femminicidio si inverte».
Ha creato un mondo dove a comandare sono le donne e gli uomini diventano gli elementi fragili.
«La vedo diversamente. Ho voluto solo dare alle donne il più intollerabile dei poteri esercitati dai maschi: ho trasformato la violenza ferale della forza fisica virile in potere del seno».
C'è un personaggio nel quale si rivede? E qual è quello che detesta di più?
«A me piace pasta e piselli con tubettini come ad Assunta; mi risulta antipatico il modo in cui parla la Professoressa, sembra un libro stampato. In confidenza le dico di essermi innamorata di tutti i personaggi maschili, forse perché li vedevo con gli occhi delle tettianesi. Tranne che del salumiere; no, di quello non mi sono innamorata».
Perché scrive?
«Quando scrivo esploro i miei spazi peggiori e ne comprendo le ragioni. Sarebbe bello poter vivere la stessa esperienza di comprensione anche nella vita vera».
Dove vive?
«Sto a Roma, ma torno spesso nella mia terra: non voglio correre il rischio di perdere il mio accento».