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Nulla si perde

Autore: Federica Politi e Antonia Del Sambro
Testata: Contorni di noir
Data: 30 ottobre 2020
URL: https://contornidinoir.it/2020/10/cloe-mehdi-nulla-si-perde/

Il nostro passato, quello che abbiamo vissuto, quello che abbiamo visto accadere intorno a noi, quanto peso ha nella nostra esistenza? Ed esiste la possibilità che questo peso, con il trascorrere degli anni, o anche solo in un attimo che oscilla tra l’ordinario e lo straordinario, perda la sua consistenza, giungendo a gravare meno sull’anima di chi lo trascina giorno dopo giorno, arrivando persino a mutare forma, consumandosi ai bordi, diventando ciò che la nostra mente possa plasmare in qualcosa di meno ingombrante per il nostro futuro?

“Ho undici anni e ho capito quello che lui non ha imparato in ventiquattro: non cambia mai nulla, tutto si ripete senza tregua. Tutto si trasforma e sempre nello stesso modo, e soltanto per un po’.”

Mattia è un bambino con un trascorso impegnativo. È nato e cresciuto in una banlieue parigina, con un padre, una madre e un fratello e una sorella maggiori. Ora vive con Zé, un ragazzo di buona famiglia dalla quale si è allontanato dopo un evento tragico che ha segnato la sua adolescenza, che è diventato suo tutore. La compagna di Zé, che vive con loro, ha tentato il suicidio e mentre il bambino e il ragazzo sono impegnati a prendersi cura della donna, provando in ogni modo a tenerla ancorata a questa vita alla quale lei sembra voler voltare le spalle una volta per tutte, sui muri del quartiere iniziano ad apparire grafiti con il volto di Said, un ragazzino di quindici anni, morto quindici anni prima, quando un semplice controllo documenti degenerò nel sangue. Un evento che scosse le persone che scesero in piazza chiedendo giustizia per la vittima. Giustizia che non fu fatta, in quanto in sede processuale il poliziotto accusato venne assolto. Ed ora qualcuno torna a chiedere quello che non è stato ottenuto allora.

“Nulla si perde” è un romanzo di fine indagine psicologica con forti connotati sociali, dove il noir si dissolve in molteplici sfumature che contaminano i sentimenti. Una morte tragica che non ha segnato solo la famiglia interessata ma anche la società in cui è avvenuta portando sulle labbra di tutti, o comunque di molti, interrogativi forti a cui era pericoloso dar voce, in nome di una verità che doveva essere taciuta. Mattia è un bambino che ha visto succedere attorno cose più grandi di lui: la perdita di un genitore, il rifiuto dell’altro, l’abbandono dei fratelli. Un bambino dentro al quale è stato piantato il seme della paura con il quale tenta di convivere. Un bambino che non ama parlare ma capace di individuare la parola nascosta tra le frasi che gli vengono dette. Un bambino che preferisce sentirsi raccontare anche la più brutale delle verità rispetto ad una più edulcorata. Zé è un ragazzo che ha assistito a qualcosa di più grande di lui e del quale si attribuisce la colpa. È una di quelle persone che si sentono abbastanza forti per portare su di sé il peso che impedirebbe di andare avanti a chi gli sta vicino. Che si assume la responsabilità di crescere un bambino non suo e di tenere legata alla vita una persona per la quale l’esistenza non ha più valore.

Cloé Mehdi fa in questo romanzo uno straordinario lavoro di trasposizione tra luogo fisico e espressione comportamentale degli individui, e mostra ai lettori quanto la costruzione dei sentimenti o la loro destrutturazione alla fine non solo possono combaciare, ma avere anche una origine comune. Luogo fisico: banlieue. Nel linguaggio comune la stessa può essere ricca o depressa. Abitata da pendolari benestanti che decidono di vivere scientemente nelle adiacenze della metropoli per avere più spazio, più verde, più tranquillità o esattamente al contrario abitata da persone che non si potrebbero permettere di vivere in nessun altro posto e che costrette dalla sorte o dalle poche disponibilità finanziarie vivono la banlieue come se fosse più un luogo dell’anima da cui per motivi tragici e dolorosi non possono e non riescono a scappare. Questo è il fulcro da cui si dipana l’intera narrazione di Nulla si perde. Se il lettore comprende che le ambientazioni del libro sono solo un pretesto autoriale per raccontare l’inferno che alcuni individui per sorte o per incapacità di reagire sono costrette a vivere, allora comprende anche che l’essenza del noir che deve raccontare la vita in questo romanzo è più che realizzata.

Luogo emotivo: la periferia dell’anima. Questa non riesce a staccarsi dal corpo, che è il centro da cui parte e a cui deve ritornare, e determina lo smarrimento dei protagonisti che vivono il loro melodramma interiore circondati da un luogo non luogo che è assolutamente fisico, ma è anche un posto dove molte cose sembrano permesse o sembrano accadere per il solo fatto che lì si è dimenticati e lasciati a morire. Come individui e come società. Questo è un noir come si deve! Ma scrivere un noir come si deve implica altresì uno stile che accompagni il racconto in maniera precisa e attuale. Non ci si può permettere che un linguaggio inadeguato vada a inficiare una narrazione che per definizione di genere deve essere la più veritiera possibile. In questo romanzo ogni espressione, ogni dialogo, ogni passaggio descrittivo, invece, sembrano essere modellati sulla trama e conseguentemente sugli stessi personaggi. Tutto perfetto quindi.

Ma, e in questo preciso caso il ma deve essere possibilistico, non ci si può non chiedere, allora, quanta di questa perfezione stilistica vada attribuita anche a Giovanni Zucca, appunto il bravissimo traduttore di questo lavoro di Cloé Mehdi. E probabilmente nella versione italiana molte di quelle pagine di grande sensibilità emozionale e di rigore stilistico, in qualche modo, i lettori invece le devono proprio a una traduzione che fa completamente dimenticare che Nulla si perde nasce, in realtà, in lingua francese.