La capacità di un corpo di portare a compimento una gravidanza e di allattare un bambino – il possesso cioè di seni e uova – determina il destino di quel corpo? Per la scrittrice Natsuko, la maternità e il sacrificio di sé sembrano incapsulare l’esperienza femminile. Ma Natsuko si chiede anche se il seno e le uova possano essere strumenti di liberazione: cosa rende libera una persona? «Le persone che hanno figli posseggono già in partenza qualcosa che io non ho? Sono già consapevoli del concetto e del significato di avere dei bambini? A differenza di me, sono in possesso a priori di capacità e requisiti specifici?» Molte tra le infinite domande che l’esperienza della maternità sembra suggerire fra le pieghe di Seni e uova (edizioni e/o, traduzione di Gianluca Coci), il primo romanzo di Kawakami Mieko a raggiungere i lettori occidentali. Il libro si snoda in due parti: nella prima facciamo la conoscenza della voce narrante Natsuko, incontrandola a Tōkyō nell’estate del 2008 assieme a sua sorella maggiore Makiko e alla nipote dodicenne Midoriko; nella seconda parte, invece, ritroviamo la protagonista a distanza di otto anni alle prese con la scrittura e il desiderio di un figlio.
«Sto pensando di rifarmi il seno», così si avvia «Estate 2008» muovendosi in un cerchio sempre più stretto con Makiko, hostess in un locale per soli uomini, che fa una visita a sua sorella Natsuko a Tōkyō. Giunta nella capitale prende appuntamento in varie cliniche, tirandosi appresso Midoriko, sua figlia, che si rifiuta di parlarle. Tutte e tre le protagoniste sono alle prese con i propri corpi, ciascuna a proprio modo. Per Midoriko si tratta di una lotta; l’odio per il suo corpo mutevole, prossimo alle mestruazioni, rischia di tracimare in quello per sua madre, fonte della sua vita e simbolo della condizione intollerabile dell’essere donna: «se solo penso che prima o poi le mestruazioni verranno anche a me e che tutti i mesi, per chissà quanti anni, avrò del sangue che colerà in mezzo alle gambe, mi prende un terrore indescrivibile. A casa non abbiamo neanche gli assorbenti, è agghiacciante, il solo pensiero mi deprime. Quando mi verranno non lo dirò a mia mamma, non lo saprà mai».
Makiko, il cui involucro comincia a essere provato da una vita di indigenza, invece ne cerca attivamente la trasformazione. L’aumento del seno è un argomento che ha studiato a fondo e che spiega con dovizia di particolari alle sorella minore blaterando di metodi invasivi, scelta della protesi più adatta, acido ialuronico e decorso post-operatorio: «Se una è magra come una chiodo non può avere due bombe solo lì, no? Sarebbe ridicolo. Mi sa che non ho altra scelta, devo prepararmi psicologicamente e rassegnarmi alla collocazione retromuscolare». Osservatrice fra lo sbigottito e lo spassionato è la protagonista Natsuko che guarda alla sorella sciupata e al suo rapporto sul punto di spezzarsi con la figlia con preoccupazione ma senza comprendere fino in fondo. Durante una serata passata ai bagni pubblici, Natsuko sorprende la sorella a fissare i capezzoli di tutte le altre donne presenti: capezzoli grandi e scuri, piccoli, rosei, deformati dall’allattamento o ancora freschi e giovani. Makiko sembra esserne ossessionata, e le confessa di aver provato su di sé anche un doloroso sbiancamento delle areole. Natsuko al contrario è disinteressata: il suo corpo funziona come supporto del proprio cervello, e non viene caricato di particolare significato estetico.
La seconda e più corposa parte del romanzo, «Estate 2016 – Estate 2019», ha una narrazione più distesa e meno feroce. Natsuko, ormai scrittrice di una certa fama, sta lavorando a un secondo libro. Vuole avere un figlio ma il suo corpo non tollera il sesso, che le provoca in ogni occasione inquietudine e dolore e non suscita in lei nessun interesse. Che cosa significa essere o non essere in grado di fare l’amore? Lo stimolo meccanico non è sufficiente se il corpo è totalmente privo di reazione emotiva: «La zona intorno all’orifizio vaginale si era leggermente inumidita, forse per via del caldo o del sudore, fatto stava che però non sentivo nulla di particolare. Ferma in quella posizione, ho provato a riflettere sul sesso. Ma più ci pensavo e più non riuscivo a mettere a fuoco l’argomento, ero incapace di giungere a qualsivoglia conclusione.» La sua vagina però funziona e quindi, sospetta Natsuko, concepimento e gestazione non dovrebbero essere un problema, tranne che per il donatore iniziale.
Natsuko è ferma, fissa in un punto: da un lato non riesce ad andare avanti col suo romanzo, dall’altro non riesce a sbloccare il desiderio di maternità trasformandolo in azione. E in effetti, l’inseminazione artificiale è vietata alle donne giapponesi single: deve recarsi in una banca del seme fuori dal paese o prendere accordi illegali con un donatore anonimo. Due incontri disorientano la protagonista scatenando una lenta ma inesorabile reazione e sono rappresentati da persone nate con l’inseminazione artificiale: Aizawa è stato allevato da una madre e da un padre che amava; e Yuriko, cresciuta da un pedofilo i cui orribili abusi le hanno tolto la possibilità di una vita serena. Ogni decisione di portare un bambino in questa esistenza, nel dolore, sostiene Yuriko, è un atto di violenza. Una madre che cerca il frutto dei propri lombi va incontro all’ignoto e in questa stessa incertezza getta il nuovo nato e non se stessa; una condizione di chi potrebbe vivere «forse solo per poco nel dolore» per poi morire. Le parole di Yuriko risuonano in Seni e uova mentre Kawakami pone sotto esame l’atto stesso della nascita, col quale veniamo nostro malgrado in un mondo che non abbiamo scelto, dove alcuni fioriscono, altri soffocano. Non del tutto dissuasa, Natsuko si isola, esita a parlare del suo desiderio con la sorella o le poche amiche, e avverte il biasimo della società perché come donna single alla ricerca di un donatore di sperma si sente fuori dalla norma. Il romanzo mette al centro questa deviazione dalla norma e la volontà di trasformazione, la libertà di gestire il proprio corpo: la spudoratezza con la quale Makiko affronta la metodica ricerca di un clinica per la mastoplastica è la stessa che qualche anno più tardi abbraccerà Natsuko e che conferirà dignità al suo desiderio di un figlio.
Non di soli temi vive però un romanzo, e la forza di Seni e uova è anche la sua lingua colorata di elementi dialettali, molto apprezzati in patria. «Dal primo istante in cui avevo rimesso piede a Ōsaka avevo riassaporato la tipica atmosfera della città: ma cos’era e da dove veniva quell’atmosfera così unica e inimitabile? […] Scaturiva forse dal dialetto, che risuonava inequivocabile nelle conversazioni della gente che mi passava accanto?» Ruvido ed espansivo, calibrato dall’autrice in un ritmo ora placido e costante, ora serrato a seconda delle tinte e dell’umore di Natsuko, una delle armi dell’autrice è il dialetto di Ōsaka, frammisto al giapponese parlato a Tōkyō, sapientemente reso in un italiano altrettanto schietto dal traduttore Gianluca Coci. Anche la scelta dell’onomastica nel testo non è mai casuale: il nome completo della protagonista, Natsume Natsuko, per ben due volte richiama il termine giapponese per estate, natsu. E non a caso le decisioni, i patemi e i cambiamenti sostanziali che Natsuko affronta avvengono d’estate, nel caldo umido e afoso dell’agosto giapponese. Lo stesso titolo giapponese dell’opera, Natsu monogatari, può essere inteso come «storie d’estate» oppure come «storia di Natsu», il diminutivo usato dal personaggio principale.
In Giappone, Kawakami è già un fenomeno letterario. Come Murakami Haruki, che si è entusiasmato per i suoi lavori, anche lei ha uno stile sciolto e colloquiale, ma rispetto al più noto conterraneo adotta un’edificante mancanza di sentimentalismo, in particolare quando descrive la vita delle donne. Concentrandosi quasi esclusivamente su personaggi e spazi femminili, Seni e uova risente degli echi di Tsushima Yūko in Hikari no ryōbun (Il territorio della luce, 1979): entrambi i romanzi descrivono la maternità e le difficoltà economiche, i piccoli appartamenti e gli anfratti urbani con precisa risolutezza. Kawakami sembra sottolineare questa connessione ponendo al centro la forma femminile, e scrive con inquietante precisione sul corpo: i suoi dolori, i suoi appetiti, gli odori e le secrezioni. I suoi personaggi maschili sono, al contrario, quasi assenti e sempre in posizione marginale. La scrittura è critica dell’attitudine misogina e del punto di vista androcentrico che pervade la società giapponese – e la letteratura mainstream. La scrittrice è anche cristallina nella sua intenzione di mostrare il corpo femminile senza abbellimenti di sorta, con le mestruazioni, il sangue, l’ovulazione, la dimensione e il colore dei capezzoli, il sebo sulla pelle, il sudore.
Questo stile non le ha risparmiato detrattori: quando Seni e uova vince il premio Akutagawa nel 2008, uno dei riconoscimenti più prestigiosi della letteratura giapponese, Ishihara Shintarō, scrittore e governatore di Tōkyō all’epoca, egli stesso vincitore dello stesso premio anni addietro, la critica duramente: «Le divagazioni egoriferite e piene di sé dell’opera sono spiacevoli e intollerabili» scrive in un articolo sulla rivista Bungeishunju. Ma Kawakami sembra non essere interessata alle critiche, «specialmente se non ho nessun interesse sull’argomento. La cosa con cui ho problemi è il sistema patriarcale in questo paese e la pressione religiosa che costringe la gente a conformarsi. Questa oppressione è stata introiettata da molte donne» dirà su Tokyo Weekender. Il Giappone è attualmente al 121esimo posto su 153 per parità di genere, la posizione più bassa tra i paesi del G7. Kawakami Mieko ritiene che sia difficile scalare questa classifica fino a una posizione di rispetto se la vecchia guardia continua a restare in sella; difficile non ripensare proprio al critico Ishihara, classe 1932. C’è bisogno che questa classe di politici sciovinisti se ne vada in pensione collettivamente: «questo, e un’enfasi ancora più massiva su educazione sessuale e studi di genere».
Negli ultimi anni, per il lettore occidentale è stato Murakami a definire la letteratura giapponese contemporanea. In capolavori autentici come L’uccello che girava le viti del mondo e Nel segno della pecora, l’autore ha creato un mondo surreale di pecore parlanti e gatti smarriti, jazz bar e folli ragazze da sogno. Eppure in molti si sono fermati qui. Per fortuna e per acume di alcuni editori e traduttori, negli ultimi tempi un certo numero di scrittrici, spesso premiate e acclamate in patria, sono uscite dal cono d’ombra di Murakami e sono state tradotte, delineando un tracciato alternativo e interamente femminile, che risale al periodo del dopoguerra e arriva a svilupparsi nel presente. Traduzioni recenti ci hanno portato il lavoro di autrici affermate come Enchi Fumiko (grazie a Marsilio e Safarà), Ogawa Yōko (Il Saggiatore e Adelphi), Kawakami Hiromi (Einaudi). Poi c’è l’attuale generazione, un gruppo spaventosamente talentuoso che include Murata Sayaka e Kawakami Mieko (entrambe edizioni e/o).
Kawakami Mieko è quindi tra le figure più importanti della letteratura giapponese oggi, nonché fra le più vivaci. Prima blogger e cantautrice, poi poeta con la raccolta di poesie in prosa Sentan de sasuwa sasareruwa soraeewa, pubblicata nel 2006. Dopo aver incrociato la sua strada con Murakami nel 2007, anno in cui entrambi vincono il premio Tsubouchi Shōyō, Kawakami nella sezione per giovani scrittori emergenti, l’anno successivo l’autrice di Ōsaka pubblica il romanzo breve Seni e uova, che si accaparrerà il premio Akutagawa e le predette critiche del vegliardo Ishihara. Nella sua produzione letteraria, Kawakami non smette mai di indagare questioni esistenziali: la morte, il corpo, la sessualità. Il tandem con Murakami proseguirà nel 2017 quando Kawakami realizzerà un’intervista sotto forma di libro allo scrittore, dal titolo The Owl Spreads Its Wings with the Falling of Dusk.
Questa edizione di Seni e uova è la versione ingigantita del precedente romanzo breve, ed è stata pubblicata in Giappone come Natsu monogatari, vincendo il premio Mainichi Publishing Culture che ha consacrato Kawakami come autrice di incontestabile importanza, il cui pensiero affilato e una grazia non comune nel combinare ora il dialetto ora un tratto lirico ne fanno un’autrice più unica che rara. Come dirà nel romanzo la sua editor a Natsuko, questa unicità «sta nello stile, nella sua eccelsa qualità e nel ritmo. In questo dimostri un’individualità davvero notevole e hai tutte le carte in regola per fare strada. Hai la forza che serve a uno scrittore, quella più importante e decisiva. Il tuo stile è la tua forza». Ecco, di stile Kawakami ne ha da vendere.