Da cosa siamo abitati? E cosa abitiamo? il romanzo di Gioconda Belli ce lo sussurra velatamente ad ogni pagina. La vicenda narrata prende vita proprio da questo alternarsi, da questo doppio movimento, il movimento di un’anima che si forma, si radica e si nutre dall’interno, e nello stesso tempo si esprime e si espande verso fuori, costruendo e moltiplicando le vedute di un nuovo scenario. Come in un gioco di matrioske si abita e si è abitati, abitati da un’idea, da una vita, da una forza vitale, da un desiderio.
È la storia di Lavinia, una giovane donna che muove i primi passi verso l’emancipazione personale e si ritroverà a combattere per un’indipendenza più grande, quella del suo paese.
Attraverso l’amore per Felipe, Lavinia si ritroverà, senza rendersene conto, all’interno del movimento di liberazione nazionale. Inizialmente, è spaventata dall’idea della violenza, non riesce a comprenderla, né a giustificarla. I suoi compagni che hanno già scontato il suo inferno, hanno scelto di farsi numeri e pedine, pur di annientare e distruggere la spietata dittatura in atto.
Cinque secoli prima, negli stessi luoghi, c’era un’altra lotta di resistenza, quella degli indigeni nahua contro l’invasione spagnola. Un’altra donna si racconta attraverso Lavinia, una doppia narrazione ci rivela Itza.
Il suo spirito si è risvegliato nell’arancio della casa che la zia Ines le ha lasciato in eredità, e dal momento in cui Lavinia abiterà quella casa, quell’albero rifiorirà nuovamente dopo anni di letargo. La vita di Itza è stata molto diversa da quella della giovane di Faguas. Itza è stata un’indigena che ha vissuto la suprema potenza della natura selvaggia e delle sue leggi, ma anche lei come Lavinia deve rivendicare il suo potere attraverso la lotta contro l’oppressore. Anche lei ha nel cuore una forza indomita che vuole, che desidera, che sogna. Le due anime si miscelano, diventano quasi un’unica sostanza. Si assaporano a vicenda attraverso sogni e sensazioni condivise, vissute due volte. Non sapranno mai coscientemente l’una dell’altra, ma si riconosceranno in una profondità che non può nutrirsi di parole e pensieri, ma di terra, umori e corpi.
La zia Ines è l’aiutante magico di questa ‘fiaba’ di formazione – emancipazione – liberazione, è lei che ha a cuore la felicità della nipote fin da bambina, è lei che la protegge e la sostiene con tutta se stessa, fino al giorno della sua scomparsa. Alla fine la giovane sceglie di spezzare il circolo malato di ipocrisia di cui è ammantata la sua famiglia, scegliendo la sua via, il suo destino. Lavinia non è un’eroina hughiana, appartiene al mondo patinato della ricca borghesia, ha studiato in Europa, e vuole esercitare la professione di architetto, vuole esprimere il suo ingegno e la sua creatività, ma è proprio questa presa di coscienza, la rivendicazione dei propri spazi e delle proprie aspirazioni, che la porterà verso un’indipendenza non più solo personale e di genere, ma collettiva. Lavinia si ritroverà faccia a faccia con la cruda realtà, fatta d’ingiustizie e miseria, ne sentirà per la prima volta la sofferenza e la crudele disarmonia di fondo.
Il vissuto della protagonista è viscerale e meditativo nello stesso tempo, l’elemento che la sostiene costantemente è l’inarrestabile voglia di innalzarsi e vincere la forza gravità, per crescere e fiorire come l’arancio che sembra voler festeggiare una rinascita, e diventa simbolo della vita che scorre da dentro a fuori, dalle radici ai rami, dal passato al futuro, mettendo in comunicazione le coscienze che desiderano la primavera per dare nuovi frutti.
La Belli nel suo lirico e corporeo romanzo fa emergere bene quando sia fondamentale l’espressione del femminile in una società che ancora tarda a riformularsi. Il femminile come forza significativa e sostanziale non solo per il fuoco delle emozioni, ma anche per le idee, per i progetti di un avvenire, per un mondo che non esiste ancora.
In una recente intervista, Elena Ferrante afferma che ci troviamo difronte al declino del patriarcato, nonostante lo strascico finale continua ancora a sferzare bruschi colpi. Lo dice anche la Belli attraverso i suoi personaggi maschili e femminili, che mettono in discussione i loro ruoli. Lo diceva anche la Woolf, in tempi più duri, ne Le tre ghinee. Fino a quando non apriremo gli occhi su questa questione, donne e uomini in egual misura, sarà sempre più difficile farci abitare dall’anima, e abitarla. Perché la prerogativa dell’abitare è l’accogliere. Lavinia è stata accolta da Ines, e lei stessa a sua volta ha accolto inconsciamente in sé lo spirito di Itza. E ancora, dopo essere stata accolta dalle braccia di Felipe, è Lavinia stessa che si ritroverà ad accogliere in casa un uomo ferito, senza ancora sapere di aver dato rifugio a una causa più grande di lei, un nuovo disegno sociale, più giusto e più umano.
In questo gioco di contenuti e contenitori: abitare e farsi abitare, si snoda tutto il senso e tutto il valore di una prospettiva femminile, perfino in un campo estraneo come quello della lotta armata. Fin quando la nostra sensibilità sarà rivolta verso l’esterno e mai verso l’interno, fin quando la questione è sempre altrui e mai nostra, non capiremo.
Gioconda Belli, poetessa e scrittrice nicaraguese, ha fatto parte del Fronte sandinista di liberazione nazionale, il suo attuale impegno sociale e intellettuale vibra di note acutissime, la sua scrittura rovente e appassionata è linfa vitale che rende fertile il cuore di chi legge.