Finito il lockdown, i mesi di giugno e luglio sono stati complessi, e dilaniati. C’era una voglia di ripartire velocemente, di recuperare “il tempo perduto” da marzo a maggio, e uno smarrimento degli occhi che tornavano a vedere troppa luce, tutta insieme e all’improvviso. E’ stata una traversata, per me. E mi ha accompagnato un libro molto intenso, “La traversata”, di Philippe Lançon (edito in Italia da e/o), uno dei giornalisti sopravvissuti all’attentato di Parigi contro il giornale Charlie Hebdo. La prima constatazione che insorgeva nella mia mente mentre leggevo è stata: sono trascorsi poco più di cinque anni (era il gennaio 2015), eppure sembra passato molto, molto più tempo, e quasi totalmente sbiadito nella memoria mi ritornava il ricordo dell’orrore di quell’evento specifico, e di quell’anno, più in generale. La paura del terrorismo di matrice islamica è stata la paura dei primi decenni del XX secolo, non solo nel mondo occidentale. Eppure, mi si elevava intorno una sua eco già indistinta, forse per la mancanza di una elaborazione sufficiente.
La seconda riflessione è la seguente: non è tanto la fonte della paura a contare (benché la sua storicizzazione sia fondamentale per comprenderla e superarla), ma ciò che accade in noi quando la paura di perdere la vita per un atto violento contro l’integrità del corpo e della mente prende piede nei giorni di un sopravvissuto. “La traversata” è una meditazione sorprendente sui modi dell’avvilupparsi della paura – che esige l’immobilità, il ritirarsi e, alla fine, la morte – intorno al tronco vitale dei nostri giorni, delle nostre relazioni.
La traversata viene compiuta innanzitutto attraverso il corpo: Lançon subisce decine di interventi di ricostruzione chirurgica alla mascella, devastata da uno dei proiettili degli attentatori. La cura del corpo che si fa oggetto nelle mani altrui svela il misterioso legame col mondo dei medici, degli infermieri. Uno degli aspetti più autentici e intensi del libro è il rapporto con la dottoressa che l’ha preso in carico, Chloé. “Dopo l’iniezione Chloé si è seduta di fronte a me sullo sgabello per vedere come reagivo. Allora le ho detto: ‘Domani sono due anni che ci conosciamo’. Ci pensavo dal giorno prima, e mi ero ripromesso di dirglielo. Non amo gli anniversari, e quello meno degli altri, ma avrei preferito che la prima iniezione fosse stata fatta il 7 gennaio. ‘Sì’ ha detto, e ho capito che anche lei ci aveva pensato. ‘Sa che stavo facendo quando lei è arrivato qui?’. ‘Hossein mi ha detto che stava mangiando’ ho risposto. ‘L’ha chiamata e ha messo me in fresco in attesa che lei arrivasse’. Hossein era il giovane chirurgo di turno il 7 gennaio 2015. In seguito è diventato un amico, dopo che ha cambiato ospedale, quando non si è più occupato del paziente. Gli dèi mantengono le distanze, i chirurghi pure. I primi hanno creato l’uomo dall’argilla, pare. Per i secondi, c’è sempre un momento in cui torni a essere un mucchio di carne e ossa da aggiustare”.
Lançon porta a termine la sua traversata, e noi con lui. Come in ogni attraversamento, ci sono soste, rallentamenti, divagazioni del pensiero, ricordi, molte incomprensioni e illuminazioni di sguardi. Ho sentito tutta la sua fatica, ho sentito tutta la mia fatica, ho sentito tutta la nostra fatica. Mi chiedo se la circostanza che narri di una vicenda tragicamente traumatica vissuta sulla sua pelle renda così “vero” il percorso esistenziale delineato dalla traversata. Credo che in queste pagine una forza aggiuntiva derivi proprio dall’esperienza del “martirio”, cioè che un pezzo del tuo corpo è stato perduto a causa dell’azione di un altro uomo. E questo mi porta a un’opera francese di diversi decenni fa, che pure ha segnato il mio lockdown e il post: “Les dialogues des Carmelites”.
Ho letto il testo di Bernanos, e ho visto e ascoltato l’opera lirica che ne trasse Poulenc nel 1957. Anche questa storia riguarda il Terrore, quello della seconda fase della Rivoluzione francese che, qui, si abbatte su un gruppo di suore carmelitane e sulla giovane, aristocratica protagonista, Blanche de la Force. La ragazza entra in convento perché è terrorizzata dalla violenza del mondo. Pensa che, chiudendosi, sarà salva. E invece il mondo, con un turbinio di violenza inimmaginabile, le si scaraventa addosso. Potrebbero essere tutte schiacciate dalla paura. Ma la fede e l’unità le mantiene in piedi, anche solo per il tempo di intonare l’ultimo “Salve Regina” prima che la lama della ghigliottina cali sulle loro teste.
Nel momento della prova, la madre Superiora ricorderà che, quando mancano sacerdoti, è il sangue dei martiri a salvare il mondo. Blanche è inorridita all’idea di morire, di veder scorrere il suo sangue. In un primo momento fuggirà, per poi fare ritorno. E non diremo come. In uno dei dialoghi finali, finalmente si confronta con Madre Maria, venuta a snidarla nella sua “autosepoltura” per paura dentro la casa che fu del padre ed è ora requisita dai giacobini. Blanche: “Cosa mi si rimprovera? Che faccio del male? Io non ho offeso il buon Dio. Io sono nata nella paura. Ci sono vissuta dentro, ci vivo ancora, tutti disprezzano la paura. È dunque giusto ch’io viva anche nel disprezzo. È tanto tempo che lo penso. La sola persona che avrebbe potuto impedirmi di dirlo era mio padre. Ma egli è morto. L’hanno ghigliottinato qualche giorno fa”. Madre Maria: “Il male, figlia mia, non è di essere disprezzata, ma soltanto di disprezzare se stessi…”. Su Youtube potrete vedere una bellissima edizione parigina dei “Dialogues” di Poulenc (https://youtu.be/IXBE1qUy9ng).
Con la sua traversata al centro della paura, Blanche comprende questo: che il male è disprezzarsi, deprezzarsi, considerarsi niente. Un male che possiamo autoinfliggerci, o che può provenire dall’attentato di un terrorista, o dal terrore pandemico. A noi spettano le traversate, sempre. E i lieti fini, come Lançon dimostra con l’ultima, magistralmente amara, pagina del suo libro, non contano. Di una traversata speciale si tratta anche nel prossimo libro che uscirà per Wojtek edizioni: “Timidi messaggi per ragazze cifrate”. Di Ferruccio Mazzanti, però, parleremo a novembre.