Un romanzo “piccolino”, non supera le duecento pagine eppure pieno di spunti di riflessioni e che riesce a ripercorrere una vita, in una telefonata.
Si, proprio così, la bellezza di questo romanzo sta nella “semplicità spiazzante e crudele”, per certi versi, che si ritrova nella telefonata che intercorre tra Nives e Loriano, due “vecchi amici” che scoprono le carte, un po’ per il vino bevuto da Loriano, un po’ per la solitudine notturna che incoraggia Nives a parlare, dopo tanto tempo.
Un atto teatrale magistrale, un botta e risposta che azzera il tempo e riporta i due settantenni alla loro gioventù.
Il motivo della telefonata a Loriano, il veterinario del paese, è Giacomina la gallina che fa da “dama di compagnia” alla neo vedova Nives e il suo “imbambolamento” di fronte alla pubblicità di un detersivo alla tivù.
Nives sembra quasi prendere forza dalla gallina incantata, come fosse l’antidoto all’incantesimo che la tiene prigioniera, con le sue parole vuole spezzare le catene che per troppo tempo l’hanno tenuta ad assistere allo scorrere della sua vita con lo sguardo fisso come Giacomina.
Giacomina e Rosaltea la donna suicidatasi in circostanze misteriose, diventano il simbolo del male di vivere e di dove risiede e si annida la “Rosa” di ognuno di noi, la debolezza fatale, il tallone d’Achille del pensiero fisso che logora cuore e mente di chi ne è afflitto.
Un romanzo da leggere per la scrittura superba, intelligentemente ironica e precisa di Sacha Naspini e anche per cercare di individuare il proprio nodo gordiano e tentare di scioglierlo con un fiume di parole che tranciano di netto ogni atarassia e ci ricordano di vivere con passione. E passione sia.
Grazie Sacha.