C'è un libro, c'è una donna che in questi mesi difficilissimi ci ha tenuto per mano, ci ha consolato, ci ha dato speranza, ci ha accompagnato come Virgilio in una specie dì viaggio agli Inferi, per poi alla fine riveder le stelle. Si chiama Violette e come la violetta è un fiore solo in apparenza fragile, ma che se lo calpesti risorge sempre. E la guardiana di un cimitero e il romanzo che la vede protagonista, insieme a tantissimi altri personaggi e a un incredibile intreccio di storie, Cambiare l'acqua ai fiori (edizioni e/o), è come un fiume carsico che si inietta nelle vene e non ti lascia più finché non ti ha ripulito da tutto il dolore. Parlare con compagna del grande regista Claude Lelouch, fotografa di scena delle più importanti produzioni cinematografiche francesi, tra cui quelle del marito, è un po' come parlare con Violette. Lei lo dice: «Io sono Violette». Qualche lettore lo ha definito addirittura "il romanzo più bello del mondo", preso dalla sua potenza catartica, perché è un libro universale che racchiude la vita, la morte, le bugie, la verità, la compassione, la voglia di scomparire e quella — fortissima — di vivere. «Parlo da sola. Parlo ai morti, ai gatti, alle lucertole, ai fiori, a Dio (non sempre gentilmente). Parlo a me stessa, mi interrogo, mi chiamo, mi faccio coraggio», dice Violette, che nasconde un segreto che ha congelato gran parte della sua vita. Violette che grazie a un incontro imprevisto con un poliziotto, Julien Seul, alla fine risorgerà.
Valérie, il suo libro è stato tra i più venduti in Italia durante il lockdown. in un momento così difficile la gente ha letto un romanzo che parla di cimiteri. Cosa ha toccato il cuore delle persone?
«È accaduto anche in Francia. Forse perché durante il lockdown abbiamo capito che la natura e la terra ci possono proteggere. Violette torna alla vita quando, grazie a un guardiano di cimitero oramai vicino alla pensione, apprende l'arte del giardinaggio e prende il suo posto: tra i morti imparerà a curare anche il suo dolore. L'isolamento ha fatto ritrovare a molti le cose fondamentali della vita: la terra, la natura. Violette ci fa capire che si può vivere con poche cose ed essere felici. Poi ci sono anche persone che avevano vissuto lutti molto pesanti che mi hanno detto: "Questa libro mi ha riconciliato coi miei morti"».
Oltre alla morte, c'è l'amore: amore per un uomo, per una figlia, amore anche non ricambiato, clandestino. Cos'è l'amore per lei?
«Una vera e propria ossessione che mi accompagna sin da bambina e che ho cercato di trasmettere nei miei libri, a partire dal primo, Il quaderno dell'amore perduto (in Italia pubblicato da Nord, ndr). Sono sempre stata affascinata da chi vive in quello che io chiamo "stato amoroso". Vedere un uomo o una donna, ma anche un padre, una madre, delle persone che all'interno di una famiglia sono legate da un forte sentimento, è molto bello. È come uno stato di grazia, non importa che sia un amore proibito, vissuto, sognato o anche perduto».
Violette porta abiti colorati sotto cappotti grigio neri. È come un inverno che nasconde l'estate.
«Mi sono detta: "Deve essere una donna con molta fantasia ma non deve essere evidente quando la si incontra". Quando accoglie chi viene al cimitero deve avere un certo aspetto severo, però sotto nasconde, come penso faccia ognuno di noi, una ventata di follia».
Philippe Toussaint, il marito di Violette, è un uomo egoista che la sfrutta, non parla, e un giorno esce in moto e sparisce dalla sua vita. Perché lei lo tollera?
«A lei basta l'amore, prima per lui, poi per Ia figlia. E poi Philippe si scoprirà diverso da come sembra. Poco per volta si svela quello che sta dietro il suo atteggiamento e si arriva perfino ad amarlo».
Cosa si comprende?
«La sua sofferenza. Questo vale per tutti: io, lei, chi sta leggendo questo giornale. Bisogna conoscere il dolore delle persone per capire perché si comportano in un certo modo».
La perdita di un nostro caro. Come si gestisce una sofferenza cosi grande?
«Bisogna accettare il dolore e poi il tempo fa il suo lavoro. Piano piano sentiamo che le persone che sono scomparse non sono mai totalmente morte e che possono ritornare a noi attraverso una canzone, una poesia, nel vento, nel sole, in una bella giornata di primavera. Chi è scomparso non si manifesta più fisicamente, ma attraverso gli elementi naturali della vita».
L'ispirazione del libro come è nata? È vero che era con suo marito, il regista Claude Lelouch?
«Sì, eravamo in Normandia, in campagna, stavamo passeggiando, avevo male ai piedi e ho cambiato le scarpe sulla tomba dei genitori di Claude. Li è nata Violette. Poi ho camminato per moltissimi cimiteri per leggere gli epitaffi dei familiari».
Ne ha parlato subito con lui?
«Quando gli ho detto che la protagonista sarebbe stata una guardiana di cimitero ha esclamato che era una grande idea. L'ha letto per primo e mi ha detto che era straordinario, che bisognava farci un film. Un sogno che credo si realizzerà. Lui mi ha insegnato molto sulla scrittura cinematografica e alla fine scrivo già scene per il cinema».
Violette non porta rancore e la vita le apre di nuovo le porte. È questo il segreto?
«Sì, andare avanti. La cosa più importante sono gli incontri. È grazie all'incontro con Julien Seul, che parte da Marsiglia per sapere come mai sua madre vuole essere sepolta accanto a un altro uomo nel cimitero dove è guardiana Violette, che si innescano delle circostanze che cambiano la sua vita. Tutti gli incontri sono dei regali, anche quando il regalo è avvelenato».
Nel romanzo ci una continua alternanza di tristezza e felicità. Si piange e poi ci si sente sollevati.
«Sì, se nascondiamo la tristezza, e diciamo: "No, non voglio essere triste", non saremo mai felici».