Bouquet contemporaneo di un incontro senza spine, il florilegio di Eric-Emmanuel Schmitt profuma di integrazione. E non solo quella fra generazioni diverse (ambientato nella Parigi degli anni sessanta, Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano – traduzione di Alberto Bracci Testasecca, Tascabili e/o – tratteggia il legame d’amicizia fra l’annoiato Momo, ragazzino ebreo schiacciato dalle pressioni del boriosissimo padre e, per l’appunto, Monsieur Ibrahim, gioviale musulmano che, nel prendersi a cuore le radicate malinconie del bambino, gli regalerà un picaresco viaggio alla scoperta delle chiavi del sorriso) ma, soprattutto, quella, fra culture: perché, nel profondo degli insegnamenti, siamo tutti corolle di uno stesso fiore. In un sorprendente intreccio di generi (dalla fiaba moderna al racconto di formazione, passando per il romanzo d’avventura) l’autore coglie, in cento pagine e poco più, un’esperienza di lettura dai fogliami vividi e colorati, rigogliosa nelle peripezie ma profonda e quanto mai germinante nelle riflessioni. Una narrazione che non può appassire.