Seni e uova è il settimo titolo proveniente dal Giappone che le edizioni E/O presentano al pubblico italiano, confermando il loro acume nel selezionare le uscite più interessanti di un mercato che altrimenti rimarrebbe distante per la vasta maggioranza dei lettori. La traduzione è stata curata da Gianluca Coci, che si era già occupato del racconto Domenica dove? della stessa autrice, apparso nel numero 1134 di Internazionale.
Il libro comprende due sezioni: la prima è ambientata nell’estate del 2008 e proprio in quella stessa annata è stata pubblicata in patria come romanzo, valso a Kawakami il prestigioso premio Akutagawa; la seconda copre il periodo che va dall’estate del 2016 all’estate del 2019 ed è stata aggiunta l’anno scorso all’edizione che ora le include entrambe.
Iniziamo a seguire Natsuko, la narratrice, mentre raggiunge la stazione dove arriveranno la sorella Makiko e la nipote Midoriko, provenienti da Ōsaka. Natsuko ha ventotto anni e da ormai un decennio si è stabilita a Tōkyō, dove svolge una serie di lavori saltuari e vive in un bilocale mentre cerca di concretizzare le sue ambizioni letterarie. Makiko, vicina ai quaranta, ha di recente sviluppato l’ossessione di rifarsi il seno, ed è proprio per organizzare l’intervento che si è decisa a fare questa trasferta di tre giorni nella capitale; la tredicenne Midoriko, invece, ha smesso di parlare con sua madre e sta vivendo male il periodo della pubertà. E c’è anche un cartone di uova che rischiano di andare a male — le uova di Čechov, e non dirò altro.
I ricordi del passato (l’infanzia e l’adolescenza di Natsuko, la fuga dal padre, la morte della madre e della nonna, i sacrifici di Makiko) e la realtà del presente (tre afose giornate estive) si intrecciano di continuo, così da rivelare l’aspra difficoltà che ha sempre caratterizzato la vita delle due sorelle, fatta di lavori umili e soldi che non bastano mai. Kawakami controlla in maniera eccellente le analessi, che non confondono mai chi legge, e mantiene la sua opera sempre lontano dal misery porn: il suo sguardo non indulge mai agli stereotipi dolciastri della povertà.
Nella seconda sezione, che comincia otto anni dopo, la vita di Natsuko è molto cambiata: ha pubblicato una raccolta di racconti, che è arrivata a vendere sessantamila copie dopo essere stata menzionata in un programma televisivo, e ora sta preparando il suo primo romanzo. Nonostante una maggiore stabilità economica e una sofferta realizzazione professionale, Natsuko si sente sperduta, perché quello che adesso vuole davvero è avere un figlio, e averlo da sola, senza un compagno.
In Giappone, come in Italia, l’accesso alla fecondazione eterologa, ovvero con metà dei gameti proveniente da estranei, è impossibile per chi non ha partner del sesso opposto. Esistono modi di aggirare la legge (per esempio rivolgendosi all’estero), ma tutti comportano un grande stress psicologico e somme di denaro non trascurabili. Per Natsuko, che non è lesbica, potrebbe restare aperta la soluzione più semplice — la storia di una notte con uno sconosciuto — se lei non fosse ciò che potremmo definire una persona asessuale: le è capitato di innamorarsi, tuttavia non è mai stata interessata al sesso e i tentativi a riguardo si sono sempre conclusi nel disagio. Inoltre, sopra i trentacinque anni, non è detto che sia poi così immediato rimanere incinta con un metodo “naturale”.
A una prima parte vivida e asciutta, Kawakami contrappone una seconda parte speculare e più dispersiva in cui la linea narrativa, pur senza mai essere slabbrata, rinuncia a un po’ di intensità per accompagnare Natsuko mentre entra in contatto con diversi nuovi personaggi e prende le misure del suo desiderio di maternità. L’interesse autoriale si sposta dalle condizioni esistenziali delle donne meno abbienti per allargarsi anche a chi ha un tenore di vita più agiato, per nascita o per matrimonio. Di nuovo, non è difficile individuare parallelismi tra la nostra società e quella giapponese, anche se è necessario tenere a mente che risultati finali in apparenza analoghi derivano da presupposti storici, culturali e sociali molto diversi. Altrettanto affascinanti sono alcune differenze nella maniera di concepire il genere, che vengono fuori con chiarezza durante il breve episodio nella sauna, nella prima parte.
Spiace l’appiattimento della ricchezza linguistica dell’originale, dove il dialetto di Ōsaka riveste un ruolo importante, ma allo stesso tempo la scelta di renderlo con il napoletano o il veneto, per esempio, sarebbe stata più alienante che utile.
Si può leggere Seni e uova se si ha poca familiarità con la cultura giapponese? A mio parere, sì. Il Giappone di Mieko Kawakami è moderno e quotidiano, lontano sia da scenari che a volte possono risultare ostici per noi occidentali del XXI secolo, sia dalle atmosfere del suo autore contemporaneo più celebre, Haruki Murakami, grande apprezzatore della scrittrice. Accosterei forse l’interesse del romanzo per le vite minuscole a un racconto di Ichiyō Higuchi, Acque torbide (edizioni Jouvence, traduzione di Paola Cavaliere e Atsuko Azuma): il ritratto di Higuchi, da noi poco nota, appare addirittura sulle banconote da 5000 yen.
Oltre a irrobustire la mia fiducia nell’offerta editoriale di E/O e nel lavoro di Gianluca Coci, il meritato successo che sta riscuotendo Mieko Kawakami non può che farmi sperare di poter leggere presto, consueti tempi di traduzione permettendo, altri suoi libri e altri esempi di letteratura giapponese contemporanea.