Il Vento Idiota, una citazione:
“Avevo trentasette anni, ero disoccupato e senza il becco di un quattrino. Come se non bastasse, non avevo una casa – se si esclude l’armadietto a pagamento alla Penn Station nel quale tenevo vestiti e articoli da bagno. In breve, la mia vita era diventata qualcosa di cui era impossibile vantarsi, alla quale si poteva soltanto sopravvivere, e la colpa era soltanto mia e dei miei complici: alcol, cocaina e una vena radicata di quella che il mio vecchio professore di filosofia greca avrebbe definito akrasia – una debolezza della volontà che porta ad agire andando contro ogni buonsenso. Se il greco non fa per voi, datele il nome che le ha dato Bob Dylan: Idiot Wind, vento idiota. Era così che mi ero rassegnato a chiamarlo io, e da quasi dodici anni quel vento infuriava nella mia vita facendola a pezzi.”
Se on the road ci finisci perché un feroce trafficante di droga ti sta dando la caccia e tu non stai cercando “l’assoluto” ma solo la pelle salva e un po’ d’umanità per scaldarti il cuore, se il tuo sense of humour ti consente, mentre dormi all’addiaccio e rimugini sugli errori commessi, di raccontare un’America balorda e grandiosa al tempo stesso, allora sei Peter Kaldheim e hai scritto questo bellissimo libro.
Indebitato fino al collo con il pusher Bobby la Mazza, Peter si lascia alle spalle un impressionante cumulo di macerie: due matrimoni falliti, una carriera di scrittore andata in fumo, una dipendenza galoppante da alcol e cocaina e la certezza di essere spinto a ogni passo da un “vento idiota”, la tendenza irrefrenabile a ficcarsi nei guai in barba a ogni buonsenso.
Trent’anni dopo Jack Kerouac, l’autore di questo divertente e picaresco memoir ne segue le tracce, spostandosi in autostop e dormendo in alloggi di fortuna, rifugi per senzatetto e sotto i cavalcavia. Lungo la strada incontra un’umanità dolente ed emarginata fatta di tossici e barboni, hippie e reduci del Vietnam e anime perse capaci di inaspettato altruismo. Da New York al parco di Yellowstone, quattro mesi di vagabondaggi tra la Florida, gli stati affacciati sul Golfo del Messico, Las Vegas, la California, Portland e Seattle eppure, dopo aver vagato per oltre 8.000 km e attraversato i confini di 20 Stati, Peter alla fine riesce ad arrivare nel posto che cercava.
Peter Kaldheim è nato a Brooklyn nel 1949 e vive oggi a Long Island. Dopo la laurea in Letteratura inglese e Lettere classiche a Dartmouth ha lavorato come redattore editoriale e scrittore freelance a Manhattan, per poi abbracciare una carriera trentennale come chef.
Il Vento Idiota, basato su vicende autobiografiche e frutto di un’idea che gli frullava in testa da 29 anni, è la sua prima opera di lungo respiro.
Un libro che riprende le redini del grande romanzo di viaggio americano, nel solco della tradizione che porta da Mark Twain a Kerouac: il racconto di un‘America derelitta e minore che odora di Steinbeck ma anche di Fante nella capacità di raccontare con sapiente maestria l’infinitamente piccolo del quotidiano – sia esso una gioia, una delusione o un errore – senza abdicare per un istante alla propria umanità.
Kaldheim ci regala una storia di rinascita e redenzione, il ritratto inedito di un’America priva di lustrini, i cui protagonisti sono i diseredati e le periferie lacere, ma anche la maestosa bellezza dei suoi paesaggi naturali e l’empatia che si sviluppa tra le persone in viaggio, tra grandi difficoltà, verso nuove opportunità di vita.
“Il vento idiota” ci insegna a far pace con il passato, ma anche – in accordo con il motto di Kerouac secondo cui “Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati. Dove andiamo? Non lo so, ma dobbiamo andare.” – che con un paio di scarpe buone ai piedi abbiamo tutto il tempo per trovare la strada di casa, ovunque essa sia.