Antonia perde la vita a Calvi, in Corsica, in seguito ad un terribile incidente automobilistico; è stato il sole nascente dietro la montagna, appena all’uscita di una curva, a sorprendere il suo viso e a farle chiudere gli occhi per un istante fatale. La gendarmeria trova la sua macchina in fondo ad un burrone dopo essere stata allertata dai familiari della ragazza, che invano hanno cercato di contattarla al telefonino. Antonia doveva tornare a casa dai suoi nel weekend, nel sud della Corsica, appena finito il servizio fotografico, ma si era trattenuta a Calvi un giorno in più perché aveva incontrato Dragan, una vecchia conoscenza del periodo in cui aveva provato a fotografare la guerra, nella ex Yugoslavia. Dieci anni prima, erano gli anni ‘90, la ragazza aveva dedicato al soldato un reportage che non sarebbe mai stato pubblicato; l’ultima volta che si erano visti si erano detti addio su un ponte sul Danubio, e Antonia aveva scattato a Dragan un’ultima fotografia. Indossava una mimetica strappata, e aveva le lacrime agli occhi. La donna si trovava a Calvi per fotografare un matrimonio; era quello il suo lavoro attuale. Non era così interessante ritrarre coppie felici, fedi, fiori e tramonti, ma la pagavano bene e questo poteva bastare. Si era voluta mettere in viaggio alle cinque del mattino, dopo la serata passata con Dragan. E ora, il suo corpo giace in una bara di fronte all’altare, e a benedirla è lo zio materno di Antonia, il prete del paese che è anche il suo padrino, colui che trentotto anni prima - quando ancora il suo rapporto con Dio era inesistente - la teneva amorevolmente tra le braccia di fronte alla fonte battesimale. Antonia piangeva e lui, allora diciassettenne e reduce da una grossa sbornia, pensava solo a consolarla. Ora deve pensare solo a dirle addio: vorrebbe piangere, stringendosi alla sua famiglia. Ma è consapevole che il suo posto è di fronte a quell’altare, dove può sentirsi davvero vicino alla sua figlioccia, che ha amato tanto come se fosse stata sua figlia. È stato proprio lui a regalare ad Antonia la sua prima macchina fotografica, in occasione del suo quattordicesimo compleanno; sentiva che la passione della ragazzina per la fotografia - che allora si riversava sulle vecchie foto di famiglia - non era solo un capriccio. Antonia avrebbe potuto agevolmente immortalare fiori, edifici, animali; e invece, erano gli umani a suscitare il suo interesse: teneva le persone intorno a lei sotto la costante minaccia dell’obbiettivo, rischiando di farselo sequestrare...
La voce narrante di un giovane prete senza nome. Un dolore immenso e composto, che regala un sapore amaro ad una liturgia di solito pronunciata in modo meccanico. Una valanga di intensi ricordi che affiorano inevitabilmente al cospetto di una bara, raccontando la storia di una giovane donna passata troppo presto a miglior vita. La famiglia, le amicizie, le scelte, gli amori, ma soprattutto la sua grande passione per la fotografia; la brama di voler catturare nei volti umani quel momento fondamentale, e imprimerlo per sempre sulla carta. Ma la fotografia è davvero in grado di rendere eterno quel momento, quelle emozioni? O la sua funzione è così effimera da esaurirsi nell’attimo stesso di un click? Ripercorrere l’esistenza di Antonia vuol dire anche ripercorrere un pezzetto di storia: storie di guerra, soprattutto (la donna, dopo aver fotografato per molto tempo gare di bocce e sagre paesane, riesce infatti a coronare il suo sogno di fare la reporter nei Balcani), e di lotta politica: in qualità di compagna di Pascal B., leader del movimento indipendentista corso, Antonia riesce a cogliere, seppur partecipandovi indirettamente, tutta l’inutilità di un conflitto farsesco, che continuerà a spargere sangue senza approdare mai a nulla. Le sue foto dei Balcani non saranno mai pubblicate: è così che si infrangono i suoi sogni di reporter, col rammarico e la consapevolezza che nessun obbiettivo, per quanto potente, possa riuscire a trasmettere davvero l’orrore; immagini capaci di suscitare indignazione sul momento, ma incapaci di imprimersi veramente nel cuore di chi guarda e presto relegate nel dimenticatoio. Il parigino Jérôme Ferrari, professore di filosofia e consulente pedagogico, vincitore nel 2012 del Premio Goncourt con Il sermone sulla caduta di Roma, scrive un libro crudo, velato di una costante malinconia; la sua prosa è diretta, semplice, ma l’interpretazione di fondo risulta abbastanza complessa, essendo un’opera composta da più strati. Fortissima - come già il titolo suggerisce - la presenza dell’elemento religioso: inevitabile, per il prete e padrino di Antonia (così come per qualunque fervido credente) la ricerca del volto di Dio in quello degli uomini che lo circondano, in quelli buoni come in quelli cattivi; così come anche in quei volti immortalati con tanta passione dalla compianta figlioccia.