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Qual è il futuro del teatro e dei festival dal vivo dopo la pandemia?

Autore: Annalisa Camilli
Testata: Internazionale
Data: 22 luglio 2020
URL: https://www.internazionale.it/reportage/annalisa-camilli/2020/07/22/teatro-festival-pandemia-coronavirus

“When everything is fluid, and when nothing can be known with any certainty / Hold your own (Quando tutto è fluido e niente può essere saputo con certezza, resta te stessa)”, le parole in inglese della poeta, performer e rapper londinese Kate Tempest vibrano nell’aria umida di una notte di mezza estate in un teatro all’aperto sotto ai pioppi e larici, mentre un pubblico emozionato esplode in un lungo applauso. Il teatro è ancora possibile, gli applausi sembrano interminabili.

La scena finale dello spettacolo Tiresias di Giorgina Pi e dei Bluemotion lascia che sia la voce registrata, rotta e fragile, della giovane rapper britannica a chiudere lo spettacolo ispirato al poema Hold your own / Resta te stessa in uno degli spazi all’aperto allestiti per il festival dei teatri di Santarcangelo di Romagna, che si è svolto quest’anno, nonostante la pandemia di covid-19.

Per molti la rappresentazione è la prima a cui assistono dal vivo dopo mesi d’isolamento e di distanziamento fisico, e questa tensione si avverte nella relazione che si crea tra spettatori e attori durante la messa in scena. Un centinaio di persone sono sedute sui cuscini appoggiati sul prato, a un metro di distanza l’uno dall’altro. Il palco è una pedana di legno, tra gli alberi. Anche per la compagnia è la prima occasione di tornare a contatto con il pubblico, un debutto pieno di incognite, ma non per questo meno desiderato.

Quattro lezioni sul corpo politico e la cura della distanza, Virgilio Sieni, Santarcangelo di Romagna, 15 luglio 2020. - Claudia BorgiaQuattro lezioni sul corpo politico e la cura della distanza, Virgilio Sieni, Santarcangelo di Romagna, 15 luglio 2020. (Claudia Borgia) L’idea dello spettacolo è nata prima che scoppiasse la crisi sanitaria e la preparazione si è svolta proprio durante il confinamento. “Abbiamo studiato la figura di Tiresia, quella del mito classico e quella della trasposizione che ne fa Kate Tempest nel suo poema. Abbiamo intervistato su Zoom alcuni studiosi come Maria Vittoria Tessitore e musicisti, ma anche persone normali, in particolare gli adolescenti che frequentavano le terrazze dei condomini di Roma per prendere un’ora d’aria durante l’isolamento”, spiega la regista, che racconta di aver progettato lo spettacolo proprio perché fosse realizzato all’aperto, in un momento in cui tutti erano costretti a stare chiusi nelle proprie case.

Il Tiresia interpretato da Gabriele Portoghese è la figura centrale dello spettacolo e incarna la relazione conflittuale, spesso di negazione, che gli esseri umani hanno con la verità, con la sua ambivalenza e con le premonizioni di futuri nefasti. Tiresia parla una lingua più che comprensibile a chi è appena uscito da una crisi sanitaria, largamente prevista, eppure da molti ignorata e ancora negata.

“Tiresia vienici a parlare”, chiede Kate Tempest. Tiresia è il veggente cieco e anziano della tragedia di Sofocle, ma lo spettacolo si concentra sul Tiresia giovane, quello che viene trasformato in donna dopo aver incontrato una serpe e poi di nuovo in uomo. È un adolescente che scopre il suo corpo, è in contatto con gli dei e dagli dei è punito per la sua sincerità, è una moltitudine incarnata, è molti se stesso. “Prevedere il futuro, arrivare prima degli altri diventa un pericolo per chi ne è capace. Essere profetici è molto pericoloso”, spiega Giorgina Pi. “Questo mi ha sempre colpito della figura di Tiresia”.

Per la regista l’attualità del personaggio della tragedia greca è nel suo rapporto con la memoria, ma anche nella fragilità della sua capacità d’intuire il futuro: “Gli indovini sapevano prevedere gli avvenimenti, perché in realtà avevano memoria del passato. Tiresia non è il simbolo della predestinazione, anzi. È la possibilità di scelta, la responsabilità personale. È l’opportunità a un certo punto di prendere coscienza e di rompere l’ordine delle cose, inaspettatamente, per cambiarle. È il richiamo alla responsabilità di collaborare alla costruzione di un nuovo ordine”.

Per gli artisti, ma anche per il pubblico, la relazione che si ricostruisce durante la messa in scena è profondamente segnata dalla consapevolezza dell’epidemia: tutti indossano le mascherine e cercano di mantenere il distanziamento fisico, ma è tangibile anche il desiderio di riconquistare uno spazio condiviso, una forma di vicinanza. Il teatro non si può fare senza i corpi e da sempre ha anche una funzione di cura. “È esattamente il contrario della rimozione e potrebbe essere un mezzo molto efficace per elaborare il trauma collettivo della malattia”, conclude la regista.

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