“Sono gente che muore… di freddo o del fuoco appiccato da qualcuno che tenta di dare una mano al destino… e forse sono gente già morta.
Per materasso hanno il marmo, e se va bene un po’ di cartone. Hanno sempre una busta di plastica in mano e una bottiglia di vino nell’altra. Ma non sono soli, sono sempre accompagnati dalla paura e dalla diffidenza di chi li guarda e volge subito gli occhi”.
Paura di scoprire che sono stati uomini come noi. Colleghi di qualcuno… un tempo, amici di qualcuno… un tempo, parenti di qualcuno… Non amiamo sentire le loro storie col rischio di scoprire che quello che è successo a loro potrebbe succedere anche a noi… d’altra parte noi siamo nel bel mezzo della battaglia, e nel bel mezzo della battaglia non è bello vedersi intorno i disertori… i disertori si fucilano, o li si lascia morire di stenti e di freddo.
Abiti sporchi e improbabili che vestono storie plausibili… fin troppo plausibili: un licenziamento, un divorzio, un fallimento… economico, personale. Cose che potrebbero capitare a ciascuno di noi… no, signore, non mi riferivo a lei…
È possibile offrirgli un thermos di caffè bollente, è possibile fare due chiacchiere con loro, ma non aiutarli: hanno perso tutto, non gli resta che la loro libertà. Foss’anche quella di morire di stenti, difficile che la gettino via.
Conoscono le stelle, e con esse il destino.
Sono soli e se ne andranno senza disturbare nessuno.”
Vite dismesse, narrate da modesti scrittori, come sopra, e da grandi scrittori, come Jean-Claude Izzo.
Vite di uomini che se ne andranno fissando un sole freddo, come in questo toccante romanzo in cui Izzo, ormai malato, si fa aedo degli uomini a perdere. Degli uomini perduti in mezzo ai loro ricordi, in mezzo alla loro disperazione e alle disperazioni che incroceranno lungo il cammino.
Il sole dei morenti di Jean Claude Izzo è un romanzo duro, ruvido, eppure toccante. Un testamento letterario che ci nomina eredi della compassione. Quella spogliata delle vesti della superiorità e della superficialità. Quella autentica.