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Giulia 1300 e altri miracoli

Autore: Elisabetta Pasca
Testata: Colla
Data: 19 aprile 2011

Si può parlare di rivoluzione, di quarantenni in crisi, di camorra e dell’Italia di oggi senza prodursi necessariamente in una interminabile serie di luoghi comuni o, nella peggiore delle ipotesi, in una cascata di retorica appiccicosa e stucchevole? Leggendo Giulia 1300 e altri miracoli sembrerebbe proprio di sì, perché in questo caso la combinazione di una serie di elementi apparentemente scivolosi è felice e pienamente riuscita.
 
Fabio Bartolomei affronta il suo battesimo di scrittore con una storia di grande forza evocativa: prende dei quarantenni più o meno allo sbando, cialtroni, deboli, falliti e fanatici, incastrati in esistenze piatte e sintetiche, li porta in un contesto del tutto estraneo al loro precedente vissuto, un agriturismo da ristrutturare nella campagna campana, li fa scontrare con l’orrore del sopruso, il pizzo richiesto dalla camorra e, proprio quando tutto sembra destinato a declinare nel più sonoro dei fallimenti, li eleva a piccoli eroi contemporanei, capaci di prendere in mano la propria vita, di acquisire consapevolezza di sé e del proprio potenziale di cambiamento, primo e fulgido principio di ogni vera rivoluzione. E tutto avviene sulla carta come se si trattasse invece di una pellicola cinematografica, nel solco della migliore tradizione di commedia all’italiana, con personaggi che sono sì delle maschere ma che risultano pienamente credibili, particolari e universali al tempo stesso.
Abbiamo Diego, il protagonista e principale voce narrante, un quarantenne dalla vita sentimentale sterile, intrappolato in un lavoro che detesta e campione soltanto nella menzogna. Il trauma della morte del padre lo induce ad imbarcarsi nella folle impresa di aprire un agriturismo in società con due individui praticamente sconosciuti e quasi più meschini di lui: Fausto, cafone palestrato, razzista e truffatore, e Claudio, pavido e mingherlino, che ha perso l’amore di sua moglie e ha mandato in rovina il supermercato di famiglia. Al terzetto, che veleggia con successo verso la disfatta, inanellando una serie di catastrofici tentativi di ristrutturazione al limite della gag, ben presto si uniscono Sergio, solido comunista nostalgico un po’ folle, e un gruppo di immigrati africani, che lavorano nei campi confinanti con il casale da ristrutturare: si crea così una stramba e variegata comitiva, che da gruppo di lavoro si trasformerà in gruppo di amici, completato dall’arrivo della bella cuoca Elisa, invertendo la tendenza negativa e producendo una serie di «miracoli» incredibili.
Ma affinché il gruppetto si compatti e si affranchi dai propri fiaschi è necessario un mirabolante colpo di scena. Il cambiamento dei personaggi viene innescato dagli imprevedibili sviluppi che seguono la comparsa, a bordo di una vecchia Giulia 1300 verde scuro, di un vecchio camorrista, il melomane Vito, inviato per chiedere il pizzo ai nuovi «imprenditori». La resistenza e la ribellione rispetto allo stato delle cose incomincia con un gesto insensato: il sequestro del camorrista, gesto che inaugura una sorta di folle resistenza partigiana alla malavita organizzata e allo stesso tempo all’ordine precostituito, agli schemi usuali della società civile. La rottura del ciclo di comportamenti convenzionali finisce per trasformare un manipolo di cialtroni e disperati in una piccola comunità modello, multietnica ed efficiente. Pian piano l’inconcepibile si trasforma in possibile e concreto: altri tre camorristi finiscono prigionieri, anestetizzati a colpi di lotterie e strategie da reality show, gli strumenti di massificazione e controllo del mondo moderno vengono utilizzati come armi di rieducazione dei malavitosi e gradualmente anche su di loro, seppure in diversa proporzione, ha effetto il principio che anima i nostri scalcagnati eroi: la possibilità di scegliere un’alternativa. A lasciarsi coinvolgere dal miracolo della riappropriazione di sé è in particolar modo il vecchio Vito, che diviene parte integrante della compagnia, contribuendo al successo dell’agriturismo.
 
Bartolomei è in grado di disegnare senza difficoltà una storia complessa e affascinante, solida dal punto di vista narrativo ma gravida allo stesso tempo di innumerevoli risvolti di critica e riflessione sulla società e sui comportamenti dell’uomo di oggi. La materia narrativa viene maneggiata in modo talmente sapiente da non risultare nemmeno per un attimo pedagogica, didattica o pedante. Ci si trova proiettati dentro un’avventura che rivela soprattutto un percorso di crescita interiore, senza avere mai l’impressione di assistere ad una lezioncina. Il mettersi in gioco, smettendo i panni e i ruoli imposti dal destino, dalla pavidità, dalla convenienza, dalla pigrizia, dall’indifferenza, dalla rassegnazione e dalla comodità è il vero e unico grande miracolo. Un miracolo che sopravvive anche alla tragedia, al punto di rottura inevitabile di questa storia.
La volontà di non tornare indietro, di non essere più comparse passive della scena della vita, è la vittoria finale degli ex falliti Diego, Fausto e Claudio, per i quali l’epilogo è soltanto il preludio di un nuovo inizio.
 
Fabio Bartolomei non regala al lettore frasi ricercate, periodi memorabili da citare a memoria per fare bella figura ad un aperitivo radical chic, la sua prosa al contrario è particolarmente piana e asciutta, per niente ruffiana o ammiccante. Ma questo aspetto contribuisce a rendere quasi fisiologica l’eventuale translitterazione del testo nel linguaggio cinematografico. Se ciò accadesse sarebbe l’ennesimo miracolo della Giulia. Anche perché di storie importanti e significative come questa ne capitano davvero poche per ogni generazione.